mercoledì 21 dicembre 2011

CHI PENSA E IL PENSIERO - La prima ed ultima libertà - Jiddù Krishnamurti


In tutte le nostre esperienze, vi è sempre chi sperimenta, chi osserva, chi si raccoglie sempre più in se stesso o chi nega se stesso. Non è questo un processo errato, non è forse un intento che non conduce a uno stato creativo? Se è un processo errato, è possibile eliminarlo completamente, rimuoverlo? Potrà accadere soltanto quando non sperimenterò al modo in cui sperimenta chi pensa, ma sarò cosciente della falsità del processo e mi renderò conto del fatto che vi è un'unico stato nel quale chi pensa coincide col pensare. Finché sperimenterò, finché sarò In divenire, necessariamente si avrà quest'azione dualistica; dovrà esservi il pensatore ed il pensiero, due separati processi all'opera contemporaneamente; non vi sarà integrazione, ma un centro che opererà mediante la volontà d'azione per essere o non essere: collettivamente, individualmente, nazionalmente e così via. A scala universale, il processo è questo. Finché uno sforzo si ripartisce tra lo sperimentatore e l'esperienza, un deterioramento è inevitabile. L'integrazione è possibile soltanto quando chi pensa non è più chi osserva. Vale a dire, ora sappiamo che esistono il pensatore ed il pensiero, l'osservatore e la cosa osservata, lo sperimentatore e l'esperienza; esistono due stati diversi. Miriamo a stabilire un ponte tra l'uno e l'altro. La volontà di agire è sempre dualistica. È possibile andare al di là di essa, che è fatta per separare, e scoprire uno stato nel quale quell'azione dualistica non abbia luogo? Lo potremo scoprire soltanto quando sperimenteremo direttamente una condizione nella quale il pensatore sia il pensiero stesso. Attualmente riteniamo che il pensiero sia diverso da chi pensa: ma è proprio così? Ci piace presumere che sia così, poiché in tal caso chi pensa può sviscerare i vari argomenti mediante il proprio pensiero. Sforzo di chi pensa è crescere o diminuire; e pertanto, in questa lotta, in quest'azione e della volontà, nel "diventare", vi è sempre un fattore di deterioramento; stiamo perseguendo un processo falso, non un processo vero. Vi è distinzione tra chi pensa ed il pensiero? Finché saranno separati, divisi, il nostro sforzo andrà perduto; stiamo perseguendo un processo falso, distruttivo, nel quale appunto consiste il fattore di deterioramento. Riteniamo che chi pensa sia qualcosa di separato rispetto al suo pensiero. Quando scopro di essere avido, possessivo, brutale, penso che non dovrei essere tutto ciò. Allora chi pensa cerca di alterare i propri pensieri, e pertanto fa uno sforzo per "diventare"; in tale processo forzoso persegue la falsa illusione che esistano due processi separati, mentre non ve n'è che uno. Credo che qui stia il fattore fondamentale di deterioramento. È possibile sperimentare la condizione nella quale vi è un'unica entità, e non due processi separati, lo sperimentatore e l'esperienza? Se è possibile, forse troveremo che cosa sia essere creativi, e quale sia la condizione in cui non possa darsi mai alcun deterioramento, qualunque sia la relazione in cui l'uomo si possa trovare. Sono avido. Io e l'avidità non costituiamo due stati diversi; vi è un unico stato, ed è l'avidità. Se sono consapevole di essere avido, che cosa accade? Mi sforzo di non esserlo, per ragioni sia sociologiche che religiose; tale sforzo si svilupperà sempre entro un piccolo, limitato cerchio; potrò estenderlo, tale cerchio, ma resterà pur sempre limitato. Perciò, ecco il fattore di deterioramento. Ma quando osservo la questione più da vicino e più in profondo, vedo che chi compie lo sforzo è la causa dell'avidità, che egli è l'avidità stessa; e vedo pure che non vi sono un "io" e l'avidità, esistenti separatamente; ma unicamente l'avidità. Se mi rendo conto di essere avido, del fatto che non vi è un osservatore avido, ma che io stesso sono l'avidità, allora tutto il problema è interamente diverso; e la nostra risposta sarà interamente diversa; allora, il nostro sforzo non sarà distruttivo. Che cosa farete quando tutto il vostro essere sia avidità, quando, qualsiasi azione facciate, sia avidità? Sventuratamente, non pensiamo mai secondo questa linea. Vi è 1'"io", l'entità superiore, il gendarme che controlla, domina. Secondo me tale procèsso è distruttivo. È un'illusione, e sappiamo perché la nutriamo. Mi ripartisco in uno strato elevato ed uno basso, per poter continuare. Se invece vi è soltanto, completamente, l'avidità, e non un "io" che agisce avidamente, se sono io stesso, interamente, avidità, in tal caso che cosa accadrà? Senza dubbio, vi è un processo diverso che contemporaneamente opera, vi è un problema diverso che nasce. Ed è questo problema, che è creativo: un problema nel quale non vi è alcun senso di un "io" che domina, che diviene, positivamente o negativamente. Dobbiamo attingere questo stato, se vogliamo essere creativi. In tale condizione, non vi è chi compia uno sforzo. Non è questione di esprimere parole, o di cercar di scoprire quale sia quella condizione: se ponete il problema in questi termini, la perderete e non la troverete mai. Ciò che importa è vedere che chi compie lo sforzo e l'oggetto per il quale egli lo compie, sono un'unica cosa. Vedere il modo in cui la mente si ripartisce in uno strato elevato ed uno basso - dove lo strato elevato è la sicurezza, l'entità eterna - pur rimanendo un processo di pensiero e pertanto di tempo, esige una penetrazione ed una vigilanza enormi. Se potremo comprenderlo come esperienza diretta, vedremo che un fattore del tutto diverso entrerà in gioco.

Testo tratto dal libro " La prima ed ultima libertà".

Copywrite:
1954 Krishnamurti Writings, inc., Ojai , U.S.A.
1969 Casa Editrice Astrolabio - Ubaldini Editore, Roma.

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