venerdì 30 dicembre 2011

SUL SESSO - La prima ed ultima libertà - Jiddù Krishnamurti

Domanda:
Sappiamo che il sesso è un’esigenza fisica e psicologica, cui non si può sfuggire, e che esso sembra costituire la causa radicale del caos nella vita personale della nostra generazione. In qual modo si dovrà affrontare questo problema? 

Krishnamurti:
Perché mai, qualsiasi argomento tocchiamo, troviamo un problema? Abbiamo fatto un problema di Dio, abbiamo fatto un problema dell'amore, abbiamo fatto della relazione, del vivere un problema, e un problema abbiamo fatto del sesso. Perché? Perché qualsiasi cosa facciamo è un problema, un orrore? Perché soffriamo? Perché il sesso è diventato un problema? Perché ci assoggettiamo a vivere con tutti questi problemi, perché non vi poniamo termine? Perché non uccidiamo i nostri problemi anziché trascinarceli giorno dopo giorno, anno dopo anno? Senza dubbio il sesso è una questione di rilievo, ma vi è la questione primaria: perché trasformiamo la vita in un problema? Il lavoro, il sesso, il guadagnarsi il pane, il pensare, il sentire, lo sperimentare - ebbene, tutta faccenda del vivere - perché tutto ciò è un problema? Non è forse perché pensiamo sempre da un punto di vista particolare, fisso? Pensiamo sempre partendo da un centro verso la periferia, ma la periferia, per la maggior parte di noi, è lo stesso centro, e così qualsiasi cosa tocchiamo è superficiale. Ma la vita non è superficiale; essa esige che si viva completamente, e proprio perché non viviamo che superficialmente, conosciamo soltanto reazioni superficiali. Qualsiasi cosa si faccia in periferia, creerà inevitabilmente un problema, e questa è la nostra vita: viviamo alla superficie, e siamo contenti di viverci, con tutti i problemi che la superficie comporta. I problemi esisteranno finché vivremo in superficie, alla periferia, essendo la periferia il "me" e le sue sensazioni, che possono venir esternate e rese soggettive, che possono identificarsi con l'universo, con la patria e con qualsiasi altra cosa che la mente fabbrichi. 
Finché vivremo entro il campo della mente vi saranno complicazioni, e dovranno esservi problemi: questo è tutto ciò che sappiamo. La mente è sensazione, la mente è il risultato di sensazioni e reazioni accumulate, e tutto ciò che essa tocca è destinato a creare miseria, confusione, problemi senza fine. La mente è la causa reale dei nostri problemi, la mente che opera meccanicamente notte e giorno, consciamente od inconsciamente. La mente è una cosa estremamente superficiale, ed abbiamo passato generazioni intere, spendiamo le nostre intere vite, coltivando la mente, rendendola sempre più abile, sempre più sottile, sempre più astuta, sempre più disonesta e tortuosa, il che è evidente in tutte le attività della nostra vita. La natura stessa della nostra mente è di essere disonesta, tortuosa, incapace di affrontare i fatti, ed è questo che crea i problemi: è di questo che consiste il problema in se stesso. 
Che cosa intendiamo col problema del sesso? Si tratta dell'atto sessuale, o di un pensiero circa l'atto? Senza dubbio non si tratta dell'atto. L'atto sessuale per me non è un problema, non più che mangiare, ma se pensate circa il mangiare e qualsiasi altra cosa tutto il giorno, perché non avete altro da pensare, diventerà un problema. È l'atto sessuale il problema, ovvero il pensiero circa l'atto? Perché pensate ad esso? Perché vi costruite sopra, il che state ovviamente facendo? I cinematografi, le riviste, i romanzi, il modo in cui vestono le donne, tutto contribuisce a costruire il vostro pensiero sul sesso. Perché la mente lo costruisce, perché mai la mente pensa al sesso? Perché è divenuto un argomento fondamentale della vostra vita? Mentre tante cose chiedono, esigono la vostra attenzione, voi la dedicate completamente al pensiero del sesso. Che cosa accade, perché le vostre menti ne sono tanto occupate? Perché è un modo di evadere definitivamente, non è così? È un modo di dimenticarsi completamente. Per un momento, almeno in quell'istante, potete dimenticar voi stessi, e non vi è altro modo per dimenticare voi stessi. Qualsiasi altra cosa facciate nella vita accentua il "me", il sé. I vostri affari, la religione, gli dei, i vostri capi, i vostri atti economici e politici, le vostre evasioni, le vostre attività sociali, il vostro aggregarvi ad un partito e respingerne un altro, tutto ciò accentua e rafforza il "me". Vale a dire, vi è soltanto un atto nel quale non si accentua il "me", e pertanto quell'atto diventa un problema, non è così? Quando esiste soltanto un'unica cosa nella vostra vita, che è la strada per l'ultima evasione, per il completo dimenticar se stessi, sia pure per pochi secondi, vi aggrappate ad essa, perché è quell'unico momento nel quale si è felici. Qualsiasi altro argomento tocchiate diviene un incubo, una fonte di sofferenza e di pena, così vi aggrappate all'unica cosa che vi offre completa dimenticanza di voi stessi, che voi chiamate felicità. Ma quando vi aggrappate ad essa, anch'essa diviene incubo, poiché allora desiderate liberarvene, non intendete esserne schiavi. Così inventate, partendo pur sempre dalla mente, l'idea della castità, del celibato, e cercate di restare casti, di essere celibi, mediante la soppressione: operazioni tutte della mente, fatte per tagliarvi fuori dal fatto. Anche questo produce un'accentuazione particolare del "me", che si sforza di diventare qualche cosa, e così di nuovo siete catturati dal turbamento, dal travaglio, dallo sforzo, dal dolore. 
Il sesso diviene un problema straordinariamente difficile e complesso finché non si comprende la mente che pensa circa il problema. L'atto in se stesso non potrà mai essere un problema; esso è creato dal pensiero circa l'atto. L'atto lo salvaguardate; vivete liberamente, oppure vi rassegnate al matrimonio, trasformando così vostra moglie in una prostituta che sotto ogni apparenza è estremamente rispettabile, e siete soddisfatti delle cose come stanno. Senza dubbio il problema sarà risolto soltanto quando comprenderete l'intero processo e l'intera struttura del "me" e del "mio": mia moglie, mio figlio, i miei beni, la mia macchina, le mie conquiste, il mio successo; finché non comprenderete e risolverete tutto ciò, resterà il problema del sesso. Finché sarete ambiziosi, politicamente, religiosamente o in qualsiasi altro modo, finché sottolineerete il sé, sottolineerete colui che pensa, colui che sperimenta, nutrendolo di ambizione sia in nome di voi stessi che in nome del vostro paese, del vostro partito o di un'idea che chiamate religiosa; finché esisterà questa attività di auto-espansione, continuerete ad avere un problema sessuale. Da un lato vi create, vi nutrite, vi espandete, dall'altro cercate di dimenticarvi, di perdervi, sia pure per un solo istante. Come possono esistere insieme le due cose? La vostra vita è una contraddizione; sottolineare il "me", e dimenticare, insieme, il "me". Il sesso non è un problema; il problema è invece questa contraddizione nella vostra vita; e la contraddizione non potrà venir superata dalla mente, poiché la mente stessa è contraddizione. La contraddizione potrà venir capita soltanto quando comprenderete pienamente l'intero processo della vostra esistenza quotidiana. Andare al cinema e guardare donne sullo schermo, leggere libri che ne stimolano il pensiero, guardare le riviste con le loro figure seminude, il vostro modo di guardare le donne, le pupille furtive che incontrano le vostre: tutte queste cose incoraggiano la mente per vie devianti a sottolineare il sé; e nello stesso tempo voi cercate di essere gentili, amorevoli, teneri. Le due cose non possono stare insieme. Chi sia ambizioso, spiritualmente o in altro modo, non sarà mai privo di problemi, poiché i problemi cesseranno soltanto quando si dimenticherà il sé, quando il "me" non esisterà, e tale condizione di non-esistenza del sé non è un atto di volontà, non è una pura reazione. Il sesso diventa una reazione; quando la mente cerca di risolvere il problema, non fa che renderlo più confuso, più penoso, più conturbante. Non è l'atto il problema, ma la mente; la mente che dice di voler essere casta... La castità non appartiene alla mente. La mente può soltanto sopprimere le proprie attività, e la soppressione non è la castità. La castità non è una virtù, la castità non si può coltivare. L'uomo che coltiva l'umiltà, senza dubbio non è una persona umile, può chiamare umiltà il proprio orgoglio, ma resta un uomo orgoglioso; ed ecco perché si sforza di essere umile. L'orgoglio non potrà mai diventare umile, e la castità non è una cosa che appartenga alla mente: non si può diventare casti. Conoscerete la castità soltanto quando vi sarà amore, e l'amore non appartiene alla mente, non è una cosa della mente. 
Perciò il problema del sesso, che tortura tanta gente in tutto il mondo, non potrà risolversi finché non si comprenderà la mente. Non potrete por termine al pensare, ma, il pensiero verrà a termine quando il pensatore cesserà di esistere, e ciò accadrà soltanto quando si avrà l'intendimento dell'intero processo. La paura nasce quando vi è separazione tra chi pensa ed il suo pensiero; quando non vi è nessuno che pensi, allora soltanto non vi è conflitto nel pensiero. Ciò che è implicito non esige alcuno sforzo per capirlo. Chi pensa nasce attraverso il pensiero; allora chi pensa si esercita a configurare, a controllare i propri pensieri o a por termine ad essi. Il pensatore è un'entità fittizia, un'illusione della mente. Quando ci si rende conto del pensiero come di un fatto, non vi è in alcuna necessità di pensare al fatto. Se vi è consapevolezza, semplice, priva di scelta, quanto è implicito nel fatto comincerà a rivelarsi. Perché il pensiero come fatto avrà fine. Allora vedrete che i problemi di cui vi cibate nel cuore e nella mente, i problemi della nostra struttura sociale, potranno venire risolti. E allora il sesso non sarà più un problema, avrà il suo giusto posto, non sarà né una cosa impura né una cosa pura. Il sesso ha il suo luogo; ma quando la mente gli conferisce il posto predominante, diventa un problema. La mente conferisce al sesso un ruolo predominante perché non può vivere senza una qualche felicità, e così il sesso diventa un problema; quando la mente ne comprende l'intero processo, e giunge così a termine, vale a dire quando il pensatore cessa, allora vi è creazione ed è questa creazione che ci fa felici. Stare in uno stato di creazione è beatitudine, perché è dimenticanza di sé, nella quale non vi è reazione che nasca dal sesso. Non si tratta di una risposta astratta al problema quotidiano del sesso: si tratta dell’unica risposta. La mente rinnega l’amore e senza l’amore non vi è castità; ed è perché non vi è amore che trasformate il sesso in un problema.


Testo tratto dal libro " La prima ed ultima libertà"

Copywrite
1954 Krishnamurti Writings, inc., Ojai , U.S.A.
1969 Casa Editrice Astrolabio - Ubaldini Editore, Roma

mercoledì 28 dicembre 2011

LA FUNZIONE DELLA MENTE - La prima ed ultima libertà - Jiddù Krishnamurti

Quando osservate la vostra mente, non solo osservate i cosiddetti livelli superiori di essa, ma anche l'inconscio; state guardando ciò che la mente in realtà fa, non è così? E’ questo l'unico modo nel quale si può investigare. Non dovrete sovrapporre quanto essa dovrebbe fare, come dovrebbe pensare o agire e così via; ciò condurrebbe soltanto ad avanzare pure ipotesi. Vale a dire, se dite che la mente dovrebbe essere questo o non dovrebbe essere quello, bloccate qualsiasi investigazione e qualsiasi pensiero; oppure, se citate una qualche autorità, anche in tal caso, non è vero? Bloccate il pensiero. Se citate Buddha, Cristo o X, Y, Z, terminerà qualsiasi ricerca, qualsiasi pensiero e qualsiasi investigazione. Perciò dovrete guardarvene. Se vorrete investigare insieme a me questo problema del sé, dovrete mettere da parte tutte queste sottigliezze della mente. Qual è la funzione della mente? Per scoprirla, dovrete conoscere che cosa la mente in realtà fa. Che cosa fa la vostra mente? È tutta, non è vero? Un processo di pensiero. Altrimenti, la mente non c'è.
Finché la mente non pensa, consciamente o inconsciamente, non vi è coscienza. Dovremo scoprire che cosa faccia, in rapporto ai nostri problemi, la mente che adoperiamo nella vita quotidiana, ed anche la mente della quale la maggior parte di noi non è consapevole. Dovremo guardare alla mente, come essa è, e non come dovrebbe essere. Ora che cos'è la mente e qual è il suo funzionamento? Essa è, in realtà, un processo di isolamento, non è così? Fondamentalmente, un processo di pensiero è appunto questo. E’ pensare in forma isolata, pur restando collettivi. Quando osservate il vostro proprio pensiero, lo vedrete come un processo isolato, frammentario. Pensate secondo le vostre reazioni, le reazioni della vostra memoria, della vostra esperienza, della vostra conoscenza, della vostra fede. Reagite, naturalmente, a tutto ciò. Se io dico che dev'esservi una rivoluzione fondamentale, voi reagite immediatamente. Obbiettate al termine "rivoluzione", nel caso che abbiate fatto buoni investimenti, siano essi spirituali o di altro tipo. Perciò la vostra reazione dipende da ciò che sapete, da ciò in cui credete, dalla vostra esperienza. Ciò è ovvio. Vi sono forme diverse di reazione. Voi dite "devo praticare la fraternità", "devo cooperare", "devo essere amichevole", "devo essere gentile", e così via. Che cos'è tutto ciò? Si tratta sempre di reazioni; ma la reazione fondamentale del pensare è un processo di isolamento. Guardate al processo della vostra mente, ciascuno di voi, il che significa che guardate al vostro agire, alla vostra fede, a ciò che sapete, alla vostra esperienza. E tutto ciò, non è forse vero? vi dà sicurezza. Vi dà sicurezza, dà forza al processo del pensare. Tale processo non fa che rafforzare il "me", la mente, il sé - sia che voi chiamiate quel sé elevato o vile. Tutte le nostre religioni, tutte le sanzioni sociali, tutte le leggi servono a sostegno dell'individuo, del sé individuale dell'azione separata; e, in opposizione a ciò vi è lo stato totalitario. Se guardate più in profondo entro l'inconscio, anche là vedrete al lavoro il medesimo processo. Là, infatti, noi siamo la collettività influenzata dall'ambiente, dal clima, dalla società, dal padre, dalla madre, dal nonno. Anche là vi è il desiderio di asserire, di dominare come individui, come "me". Non è dunque la funzione della mente, quale la conosciamo e quale la vediamo funzionare quotidianamente, un processo di isolamento? Non state cercando la salvezza individuale? State per essere qualcuno in futuro; oppure in questa stessa vita state per essere un grand'uomo, un grande scrittore. La nostra tendenza più importante è di separarci. Può la mente fare qualcosa di diverso? È possibile che la mente non pensi separatamente, in modo solipsistico, frammentario? E’ impossibile. Così, adoriamo la mente; la mente è straordinariamente importante. Non vedete, nel momento in cui siete un poco più acuti, un poco più attenti, e possedete una piccola informazione e conoscenza accumulata, quanto importanti divenite nella società? Vedete bene quanto voi adoriate coloro chi è intellettualmente superiore, gli avvocati, i professori, gli oratori, i grandi scrittori, i volgarizzatori! Avete coltivato l'intelletto e la mente.
La funzione della mente è di essere separata; altrimenti la vostra mente non c’è.
Avendo coltivato per secoli questo processo, scopriamo di non poter cooperare; possiamo soltanto essere costretti, spinti, guidati dall'autorità, dal timore, sia economico che religioso. Se questa è la situazione reale, non solo sul piano della coscienza, ma anche ai livelli più profondi, nei nostri motivi, nei nostri intenti, nei nostri fini, come potrà esservi cooperazione? Come potrà esservi una coesione intelligente per fare insieme qualche cosa? E poiché ciò è quasi impossibile, le religioni ed i partiti sociali organizzati costringono l'individuo a certe forme di disciplina. La disciplina diviene allora imperativa, se vogliamo raccoglierci insieme per fare insieme le cose. Finché non comprenderemo come trascendere questo pensiero che separa, questo processo che conferisce enfasi al "me" ed al "mio" sia in forma collettiva che individuale, non troveremo pace; avremo, sempre conflitto ininterrotto e guerra. Il nostro problema è come porre un termine al processo separatore del pensiero. Potrà mai il pensiero distruggere il sé, essendo il pensiero un processo di espressione verbale e di reazione? Il pensiero altro non è se non reazione; il pensiero non è creativo. Potrà un tale pensiero por termine a se stesso? È appunto ciò che stiamo cercando di scoprire. Quando io penso secondo uno schema come questo: "devo esser disciplinato", "devo pensare più accuratamente", "devo esser questo o quello", il pensiero sta costringendo, sollecitando, disciplinando se stesso ad essere qualche cosa o a non essere qualche altra cosa. Non è questo un processo di isolamento? E se è così, non corrisponde a quella intelligenza integrata che funziona come un tutto, e in base alla quale soltanto potrà esservi cooperazione. Come Giungerete a por termine al pensiero? O piuttosto, come il pensiero, che è isolato, frammentario e parziale, giungerà a termine? Come porrete la questione? La vostra cosiddetta disciplina, lo distruggerà? Ovviamente, in tutti questi lunghi anni non siete riusciti a farlo; altrimenti non sareste qui ad ascoltarmi. Vi prego, esaminate il processo del disciplinare, che altro non è se non un processo di pensiero, nel quale vi è soggezione, repressione, controllo, dominio: tutte cose che toccano l'inconscio, il quale si impone tanto più quanto più si invecchia. Dopo aver cercato per tanto tempo a vuoto, dovreste aver scoperto che senza dubbio la disciplina non è il processo giusto per distruggere il sé. Il sé non verrà distrutto dalla disciplina, poiché la disciplina è un processo che serve invece a rafforzare il sé. Eppure, tutte le vostre religioni invocano la disciplina; tutte le vostre meditazioni, le vostre asserzioni si fondano su questo. E la conoscenza, distruggerà il sé? La fede lo distruggerà? In altri termini, qualsiasi cosa voi ora stiate facendo, qualunque sia l'attività in cui siete oggi impegnati per giungere alla radice del sé, potrà avere successo? Tutto questo non è forse uno spreco fondamentale, entro un processo di pensiero che è un processo di isolamento, di reazione? Che cosa fate quando fondamentalmente o profondamente vi rendete conto che, il pensiero non può por termine a se stesso? E cosa accade? Guardate dentro di voi. Quando si è completamente consapevoli di questo fatto, che cosa accade? Accade che si comprende come qualsiasi reazione sia condizionata e come, attraverso il condizionamento, non possa esservi libertà né all'inizio né alla fine: e la libertà è sempre all'inizio, e non alla fine. Quando vi rendete conto che qualsiasi reazione è una forma di condizionamento e che pertanto essa conferisce continuità, in maniere svariate, al sé, che cosa in realtà si verifica? A questo proposito è necessaria la massima chiarezza. La fede, la conoscenza, la disciplina, l'esperienza, l'intero processo di ottenere un risultato od un fine, l'ambizione, il diventare qualche cosa in questa vita o in una vita futura, tutti questi sono processi di isolamento, fanno cioè parte di un processo che comporta distruzione, miseria, guerre e rispetto al quale non vi è fuga attraverso un'azione collettiva, per quanto voi possiate essere minacciati dai campi di concentramento e da cose del genere. Siete consapevoli di questo fatto? Qual è lo stato della mente che dice "è così", "questo è il mio problema", "questo è esattamente il punto in cui mi trovo, vedo che cosa possano fare la scienza e la disciplina, che cosa possa fare l'ambizione"? Senza dubbio, se vedete tutto ciò, un processo del tutto diverso è già al lavoro.
Vediamo le strade dell'Intelletto ma non vediamo la via dell'amore. La via dell'amore non si può trovare mediante l'intelletto. L’intelletto, con tutte le sue ramificazioni, con tutti i suoi desideri, ambizioni, finalità, deve scomparire perché l'amore possa nascere. Non sapete che, quando amate e cooperate, non pensate a voi stessi? È questa la forma più alta di intelligenza: non quando amate come un'entità superiore o quando vi trovate in una buona posizione, il che altro non è se non paura. Quando sono presenti i vostri interessi acquisiti, non potrà esservi amore; altro non vi sarà se non il processo di sfruttamento, che nasce dalla paura. Così l'amore potrà nascere soltanto quando la mente sarà scomparsa. E a questo scopo dovrete intendere il processo totale della mente, la funzione della mente. Soltanto quando saprete come amarvi l'un l'altro potrà esserci cooperazione, potrà esservi un funzionamento intelligente, un raccogliersi insieme per risolvere qualsiasi problema. Soltanto allora sarà possibile scoprire che cosa è Dio, o che cos'è la verità. Oggi, stiamo cercando di trovare la verità mediante l'intelletto, l'imitazione: il che è idolatria. Soltanto quando scarterete completamente, mediante l'intendimento, l'intera struttura del sé, potrà nascere quanto è eterno, fuori del tempo, incommensurabile. Non potrete andare ad esso: esso verrà a voi.

Testo tratto dal libro " La prima ed ultima libertà"

Copywrite
1954 Krishnamurti Writings, inc., Ojai , U.S.A.
1969 Casa Editrice Astrolabio - Ubaldini Editore, Roma

lunedì 26 dicembre 2011

SLS - Sodium Laureth Sulfate: un'additivo da evitare! - In quali prodotti viene utilizzato!?



Qui sotto ho estrapolato parte di un'articolo, pubblicato sul sito disinformazione.it , riguardante il Sodium Laureth Sulfate, un'additivo base, presente nei saponi più diffusi e non solo!


"...Come dicevamo prima, nell’articolo dell’accademica Nina Silver intitolato Prodotti tossici, etichette ingannevoli pubblicato nel numero 30 di Nexus sono stati presentati i rapporti più contraddittori in merito al solfato di sodio lauril. “Secondo Ruth Winter, autore del libro A Consumer’s Dictionary of Food Additives il SLS è soltanto un irritante per la pelleper Epstein e Steinman, autori del The Safe Shopper’s Bible, esso risulta irritante anche per gli occhi e le mucose”. “Judi Vance, autrice del libro Beauty To Die Forinvece si spinge oltre facendo riferimento a degli studi giapponesi che evidenziano un danno al DNA”. 
Avete capito bene? Qui si parla di possibili danni al DNA! 
A questo punto non potevamo non andare a spulciare i principali database medico governativi alla ricerca di informazioni aggiuntive in grado di chiarire una volta per tutte il mistero. Quello che è saltato fuori è molto interessante.

Secondo il Toxicology Data Network[4], dell’Istituto Nazionale della Sanità (NIHNational Institute of Health) il SLS produce reazioni allergiche di sensibilità[5], secca la pelle[6] e le mucose, provocando gravi irritazioni agli occhi. Fin qui nulla di eccezionale! 
Però nello studio della Invitrogen Corporation[7] del 23 Marzo 1998, oltre ai sopraccitati effetti si aggiungono problemi vascolari, polmonari e complicanze su embrioni e/o feti (fetotoxicity). 
La cosa si fa un po’ più seria invece in uno studio, sempre del Toxicology Data Network, denominato Effetti degli additivi farmaceutici sulla sintesi e nei meccanismi di riparazione del DNA (Effect of pharmaceutical additives on the synthesis of DNA and on repair mechanism), perché al SLS viene imputato l’effetto di bloccare la sintesi del DNA[8]. Cosa purtroppo confermata anche dal CDC, il Centro per il Controllo e la Prevenzione delle malattie (Centers of Disease Control and Prevention) statunitense, che nel Registro degli effetti tossici delle sostanze chimiche (Registry of Toxic Effects of Chemical Substances) del NIOSH, l’Istituto Nazionale per la Sicurezza e la Salute  nel Lavoro (National Institute for Occupational Safety and Health) elenca il Sodium Lauryl Sulfate come una sostanza in grado di inibire il DNA nel fegato di ratto, nel porcellino d’india  e perfino nei linfociti umani. 
Secondo questa ricerca ufficialissima, le dosi che provocano questa inibizione del DNA sono nel fegato di ratto 243
mmol/L[9], nel porcellino 60mmol/L[10] e nell’uomo 100mg/L[11] 
Quindi sono necessari 100mg/L (100 mg per litro) di SLS per provocare l’inibizione dell’acido desossiribonucleico (DNA) all’interno dei linfociti! 
Non finisce qui! Il SLS tra le altre cose sarebbe anche in grado di provocare mutazioni in microrganismi come il Saccharomyes Cerevisiae alle dosi di circa 3,500
mmol/L[12], e addirittura 200mg/L provocherebbero mutazioni in qualsiasi microrganismo. 
Esperimenti simili sono stati -purtroppo diciamo noi che aborriamo simili crudeltà- eseguiti anche su animali da laboratorio dalla Mallinckrodt Chemicals[13] e i risultati, pubblicati nel Material Safety Data Sheet ricalcano i precedenti: effetti mutageni e teratogenici![14]
Cosa possiamo aggiungere? Certamente a questo punto fa sorridere sapere che secondo l’Hazards Toxicity, il Sodium Lauryl Sulfate  figura nell’elenco delle sostanze chimiche che producono danni seri all’apparato gastrointestinale. 
Naturalmente a questo punto è d’obbligo precisare che tutti questi studi fanno riferimento alla sostanza chimica pura, cioè a quel solido di colore bianco che può essere in polvere oppure in scaglie con un leggero odore amarognolo. La sostanza contenuta nei prodotti per l’igiene invece è in diluizione che varia da prodotto a prodotto..."


Elenco dei sinonimi del Sodium Lauryl Sulfate:AI3 – 00356, Akyposal SDS, Aquarex ME, Aquarex methyl, Avirol 101, Avirol 118 conc, Berol 452, Carsonol SLS, Carsonol SLS Paste B, Carsonol SLS Special, Conco sulfate WA, Conco sulfate WA – 1200, Conco sulfate WA – 1245, Conco Sulfate WAG, Conco Sulfate WAN, Conco Sulfate WAS, Conco sulfate WN, CP 75424, Cycloryl 21, Cycloryl 31, Cycloryl 580, Cycloryl 585N, Dehydag sulfate GL emulsion, Dehydag sulphate GL emulsion, Detergent 66, Dodecyl alcohol, hydrogen sulfate, sodium salt, Dodecyl sodium sul fate, Dodecyl sulfate sodium, n - Dodecyl sulfate sodium, Dodecyl sulfate, sodium salt, Dreft, Duponal, Duponal WAQE, Duponol, Duponol C, Duponol ME, Duponol methyl, Duponol QX, Duponol WA, Duponol WA Dry, Duponol WAQ, Duponol WAQA, Duponol WAQE, Duponol WAQM, EMAL O, EMAL 10, Emersal 6400, Empicol LPZ, Empicol LS 30, Empicol LX 28, Emulsifier No. 104, Finasol osr (sub 2), Gardinol, Hexamol SLS, Incronol SLS, Irium, Jordanol SL – 300, Lanette wax – S, Laurylsiran sodny (Czech), Lauryl sodium sulfate, Lauryl sulfate, sodium salt, Maprofix 563, Maprofix LK, Maprofix NEU, Maprofix WAC, Maprofix wac – LA, Melanol CL, Melanol CL 30, Monododecyl sodium sul fate, Monogen Y 100, Montopol LA paste, NCI - C50191, Neutrazyme, Nikkol SLS, Odoripon AL 95, Orvus WA paste, P and G emulsifier 104, Perlandrol L, Product No. 75,  Product No. 161, Quolac EX – UB, Rewopol NLS 30, Richonol A, Richonol AF, Richonol C, SDS, Sinnopon LS 95, Sinnopon LS 100, Sintapon L, Sipex OP, Sipex SB, Sipex SD, Sipex SP, Sipex UB, Sipon LS, Sipon LS 100, Sipon LSB, Sipon PD, Sipon WD, SLS, Sodium dodecyl sulfate, Sodium n - dodecyl sulfate, Sodium dodecyl sulphate, Sodium lauryl sulfate, Sodium lauryl sulphate, Sodium monododecyl sulfate, Sodium monolauryl sulfate, Solsol needles, Standapol 112 conc, Standapol WA – AC, Standapol WAQ, Standapol WAQ Special, Standapol WAS 100, Steinapol NLS 90, Stepanol ME, Stepanol ME Dry, Stepanol ME Dry AW, Stepanol methyl, Stepanol methyl dry AW, Stepanol T 28, Stepanol WA, Stepanol WA – 100, Stepanol WAC, Stepanol WA paste, Stepanol WAQ, Sterling WA paste, Sterling WAQ – CH, Sterling waq – cosmetic, Sulfetal L 95, Sulfopon WA 1, Sulfopon WA 2, Sulfopon WA 3, Sulfopon WA 1 special, Sulfotex WA, Sulfotex WALA, Swascol 3L, Swascol 4L, Swascol 1P, Syntapon, Syntapon L, Syntapon L pasta (Czech), Tarapon K 12, Texapon DL conc., Texapon K12, Texapon K – 1296, Texapon L 100, Texapon V HC, Texapon V HC powder, Texapon ZHC, Texapon Z high conc. Needles, Trepenol WA, TVM 474, Ultra sulfate SL – 1, WAQE, Witcolate A, Witcolate A powder, Witcolate C.

Il Sodium Laureth Sulfate può trovarsi nei seguenti prodotti:
dentifricio, saponette, saponi liquidi per il corpo, shampoo, balsamo, detergenti per la casa, colluttorio, ecc...

Il sapone di marsiglia (quello vero!!!) è un'ottima alternativa perchè è biodegradabile al 100% e non contiene SLS.

Per chi volesse iniziare ad autoprodursi sapone, di qualsiasi tipo, visitate il sito www.ilmiosapone.it

Vi basteranno pochi accessori ( bilancia da cucina, pentola, mestola, fornello) ed ancor meno ingredienti (acqua, soda caustica, olio vegetale) per preparare dell'ottimo sapone, naturale al 100%.

Un'altra soluzione è quella di usare la LISCIVA (soluzione liquida ottenuta dalla bollitura di cenere di legno).

Qui sotto riporto una parte di articolo dal sito dioni.altervista.org/Lisciva_detersivo_ecologico_fai-.html

..."Istruzioni per fare la lisciva fatta in casa

Ingredienti:
CENERE e ACQUA in un rapporto 1: 5 (ovvero 1 bicchiere di cenere per 5 bicchieri d'acqua)

Procedimento:
- Setacciare la cenere.
- Disporla in una grossa pentola, rispettando il giusto rapporto cenere/acqua ed aggiungervi l'acqua.
- Portare ad ebollizione, a fuoco lento, mescolando di frequente all'inizio e di tanto in tanto quando la cottura si è stabilizzata.
- Far bollire circa 2 ore. E' consigliabile, verso fine cottura, assaggiare giusto una goccia del composto da posare sulla lingua per valutarne la potenza: se ha bollito sufficientemente pizzicherà appena. Non eccedere nella bollitura, in quanto la lisciva ottenuta diventerebbe troppo forte ed aggressiva per la pelle e per l'ambiente.
- A cottura ultimata, lasciare raffreddare e decantare.
- Preparare un recipiente e qualche straccio di cotone pulito che non scolorisca.
- Tendere sul recipiente lo straccio.
- Versare il contenuto della pentola sullo straccio nel recipiente, con l'accortezza di non agitare il liquido, cercando cioè di mantenere separata la parte solida da quella liquida. Se necessario ripetere questa operazione per ottenere una lisciva (ovvero la parte liquida) più filtrata e quindi più limpida.
- Versare la lisciva in un flacone di plastica.
La lisciva è pronta! e si conserverà per anni.
Cosa si ottiene da questo procedimento:
• Una parte liquida, la lisciva propriamente detta, da usarsi per tutte le pulizie (piatti, biancheria, pavimenti, ecc.) ed anche direttamente in lavatrice come un normale detersivo.
• Una pasta cremosa, che possiede un certo potere detergente e che può essere utilmente usata per lavare i piatti e come sapone per le mani, poiché non sporca ed è meno aggressiva rispetto alla cenere d’origine, destinando la lisciva ad altri impieghi più esigenti e specifici."...

giovedì 22 dicembre 2011

MARIO MONTI MANDA IL SUO MESSAGGIO A GLI ITALIANI...E LORO RISPONDONO!!!

"MESSAGGIO PER TUTTI GLI ITALIANI ONESTI: MARIO MONTI CHIEDE DI AUMENTARE
L'ETÀ DELLE PENSIONI PERCHÉ IN EUROPA TUTTI LO FANNO. - NOI CHIEDIAMO,
INVECE, DI ARRESTARE TUTTI I POLITICI CORROTTI , DI ALLONTANARE DAI
PUBBLICI UFFICI TUTTI QUELLI CONDANNATI IN VIA DEFINITIVA PERCHÉ IN EUROPA
TUTTI LO FANNO, O SI DIMETTONO DA SOLI PER EVITARE IMBARAZZANTI FIGURE. -
DI DIME...ZZARE IL NUMERO DI PARLAMENTARI PERCHE´ IN EUROPA NESSUN PAESE HA
COSI´ TANTI POLITICI !! - DI DIMINUIRE IN MODO DRASTICO GLI STIPENDI E I PRIVILEGI A PARLAMENTARI E SENATORI, PERCHÉ IN EUROPA NESSUNO GUADAGNA COME LORO. - DI POTER ESERCITARE IL "MESTIERE" DI POLITICO AL MASSIMO PER 2 LEGISLATURE COME IN EUROPA TUTTI FANNO !! - DI METTERE UN TETTO MASSIMO ALL´IMPORTO DELLE PENSIONI EROGATE DALLO STATO (ANCHE RETROATTIVE), MAX. 5.000, 00 EURO AL MESE DI CHIUNQUE, POLITICI E NON, POICHE´ IN EUROPA NESSUNO PERCEPISCE 15/20 OPPURE 30.000,00 EURO AL MESE DI PENSIONE COME AVVIENE IN ITALIA - DI FAR PAGARE I MEDICINALI VISITE SPECIALISTICHE E CURE MEDICHE AI FAMILIARI DEI POLITICI POICHE´ IN EUROPA NESSUN FAMILIARE DEI POLITICI NE USUFRUISCE COME AVVIENE INVECE IN ITALIA DOVE CON LA SCUSA DELL´IMMAGINE VENGONO ADDIRITTURA MESSI A CARICO DELLO STATO ANCHE GLI INTERVENTI DI CHIRURGIA ESTETICA, CURE BALNEOTERMALI ED ELIOTERAPIOCHE DEI FAMILIARI DEI NOSTRI POLITICI !! CARO MARIO MONTI, NON CI PARAGONARE ALLA GERMANIA DOVE NON SI PAGANO LE AUTOSTRADE, I LIBRI DI TESTO PER LE SCUOLE SONO A CARICO DELLO STATO SINO AL 18° ANNO D´ETA´, IL 90 % DEGLI GLI ASILI E NIDO SONO
AZIENDALI E GRATUITI E NON TI CHIEDONO 400/450 EURO COME GLI ASILI STATALI ITALIANI !! IN FRANCIA LE DONNE POSSONO EVITARE DI ANDARE A LAVORARE PART TIME PER RACIMOLARE QUALCHE SOLDO INDISPENSABILE IN FAMIGLIA E PERCEPISCONO DALLO STATO UN ASSEGNO DI 500,00 EURO AL MESE COME CASALINGHE PIU´ ALTRI BONUS IN BASE AL NUMERO DI FIGLI . IN FRANCIA NON PAGANO LE ACCISE SUI CARBURANTI DELLE CAMPAGNE DI NAPOLEONE, NOI LE PAGHIAMO ANCORA PER LA GUERRA D´ABISSINIA !!
NOI CHIEDIAMO CHE VOI POLITICI LA SMETTIATE DI OFFENDERE LA NOSTRA
INTELLIGENZA, IL POPOLO ITALIANO CHIUDE 1 OCCHIO, A VOLTE 2, UN ORECCHIO E
PURE L´ALTRO MA LA CORDA CHE STATE TIRANDO DA TROPPO TEMPO SI STA´
SPEZZANDO. CHI SEMINA VENTO, RACCOGLIE .....TEMPESTA !!! SE APPROVI, FAI
GIRARE QUESTO MESSAGGIO E CHIEDI AD ALTRI DI FARLO ! ! !

"Abbiamo imparato a volare nei cieli come uccelli e solcare i mari come pesci, ma non abbiamo
ancora imparato la semplice azione di camminare sulla terra come fratelli."

M.L. King

mercoledì 21 dicembre 2011

Può il pensiero risolvere i nostri problemi? - La prima ed ultima libertà - Jiddù Krishnamurti


Il pensiero non ha risolto i nostri problemi e non ritengo che lo farà mai. Abbiamo contato sull'intelletto perché ci mostrasse la via per uscire dalla nostra complessività. Più abile, più sottile, più odioso è l'intelletto, maggiore è la varietà di sistemi, di teorie, di idee. Le idee non risolvono alcun problema umano; non l'hanno mai risolto né mai lo faranno. La mente non è una soluzione; la via del pensiero non è, ovviamente, la via per farci intendere il processo del pensare, e forse riuscire ad andare al di là: poiché quando il pensiero cesserà, forse saremo in grado di scoprire una via che ci aiuterà a risolvere i nostri problemi, non solo quelli individuali, ma anche quelli collettivi.
Il pensiero non ha risolto i nostri problemi. I sommi, i filosofi, i dotti, i capi politici, non hanno in realtà risolto nessuno dei problemi umani: che consistono nella relazione tra voi ed un altro, tra voi e me. Finora abbiamo usato la mente, l'intelletto, perché ci aiutassero ad investigare il problema, sperando di trovare una soluzione così: potrà mai il pensiero dissolvere i nostri problemi? Il pensiero, salvo che nel laboratorio o sul tavolo da disegno, non è sempre autoprotettivo, autoperpetuante, condizionato? La sua attività non è sempre incentrata su se stessa? E un simile pensiero potrà mai risolvere qualcuno dei problemi che il pensiero stesso ha creati? Potrà la mente, che ha creato i problemi, risolvere cose che essa stessa ha dato alla luce?
Senza dubbio pensare è reagire. Se vi faccio una domanda, voi rispondete secondo la vostra memoria, i vostri pregiudizi, la vostra educazione, il clima, insomma in base a tutto il background del vostro condizionamento; rispondete, pensate in funzione di esso.
Il centro di questo background è 1'"io" nel processo dell'azione. Finché quel background non viene compreso, finché quel processo di pensiero, quel sé che crea il problema, non viene compreso e non vi si pone fine, saremo costretti a stare in conflitto, con l'interno e con l'esterno, nei nostri pensieri, emozioni ed azioni. Nessuna soluzione di nessun tipo, per quanto eccellente, per quanto ben ponderata, potrà mai por fine al conflitto tra uomo ed uomo, tra voi e me. Rendendoci conto di questo, essendo consapevoli del modo in cui il pensiero scaturisce e da quale fonte esso scaturisca, domandiamo: "potrò mai esaurire il pensiero?".
Questo è bene un problema, non è così? Può il pensiero risolvere i nostri problemi? Pensando al problema, l'avete forse risolto? Un tipo qualsiasi di problema - economico, sociale, religioso
- è stato mai realmente risolto dal pensiero? Nella vostra vita quotidiana, quanto più pensate ad un problema, tanto più complesso, tanto più irrisolto, tanto più vago diviene. Non è forse così? Non è forse nella nostra vita pratica, quotidiana? Pensando a certi aspetti del problema, potrete vedere piú chiaramente il punto di vista di un'altra persona, ma il pensiero non può cogliere la completezza e la pienezza del problema: lo può vedere solo parzialmente, ed una risposta parziale non è una risposta completa, e pertanto non è una soluzione.
Quanto più pensiamo a un problema, quanto più investighiamo, analizziamo, discutiamo un problema, tanto più esso diviene complesso. Così, è possibile guardare al problema in modo completo, totale? In che modo? Poiché, a mio avviso, è questa la nostra massima difficoltà. I nostri problemi vanno moltiplicandosi - vi è pericolo imminente di guerra, vi è ogni tipo di disturbo alle nostre relazioni - e in qual modo potremo comprendere ciò totalmente, nel suo insieme? Senza dubbio ciò sarà risolubile soltanto quando potremo considerarlo nel suo insieme: non a compartimenti stagni, non ripartito. E quando sarà possibile? Sicuramente, soltanto quando sarà venuto a termine il processo del pensare: che ha la sua fonte nel’ ”io”, nel sé, nel background della tradizione, del condizionamento, del pregiudizio, della speranza e della disperazione. Potremo comprendere questo sé non analizzandolo, ma vedendo la cosa com'è, essendo consci di essa come di un fatto e non come di una teoria? Non, cioè, tentando di dissolvere il sé allo scopo di ottenere un risultato, ma vedendo l'attività del sé, del’ “io”, in azione continua? Possiamo guardarlo, senza compiere alcun movimento che lo distrugga o lo promuova? E’ questo il problema, non vi pare? Se, in ciascuno di noi, il centro dell’ “io” è non-esistente, col suo desiderio di potere, di posizione sociale, di autorità, di prosecuzione, di autopreservazione, senza dubbio i nostri problemi giungeranno a termine!
Il sé è un problema che il pensiero non può risolvere. Occorre una consapevolezza che non è del pensiero. Essere consapevoli, senza condannarle o giustificarle, delle attività del sé - soltanto esserne consapevoli - basta. Se si è consapevoli per scoprire in qual modo risolvere il problema, per trasformarlo, per giungere ad un risultato, si è ancora nel campo del sé, dell’ “io”. Finché cercheremo un risultato, sia attraverso l'analisi, sia attraverso la consapevolezza, attraverso l’analisi puntuale di qualsiasi pensiero, resteremo pur sempre entro il campo del pensiero, vale a dire entro il campo dell’ “io”, del “me”, dell'ego: chiamatelo come volete.
Finché sussiste l'attività della mente, senza dubbio non potrà esservi amore. Quando vi sarà amore, non avremo più problemi sociali. Ma l'amore non è qualcosa che si possa acquistare. La mente può
cercare di acquistarlo, come un nuovo pensiero, un aggeggio nuovo, un modo nuovo di pensare; ma la mente non può trovarsi in una condizione d'amore tanto a lungo, quanto occorrerebbe al pensiero per acquisire l'amore. Finché la mente cerca di trovarsi in uno stato di non-avídità, senza dubbio essa resta avida, non è così? Similmente, finché la mente ambisce, desidera e agisce allo scopo di trovarsi in una condizione nella quale vi sia amore, senza dubbio essa rinnega tale condizione, non è così?
Consideriamo questo problema, questo complesso problema del vivere, ed essendo consapevoli del processo del nostro proprio pensiero, e rendendoci conto che esso in realtà non porta da nessuna parte - quando veramente ci si renderà conto di ciò, allora senza dubbio ci si troverà in una condizione di intelligenza che non sarà individuale o collettiva. Allora il problema della relazione dell'individuo con la società, dell'individuo con la comunità, dell'individuo con la realtà, cesserà di esistere; poiché allora vi sarà soltanto intelligenza, la quale non è né personale né impersonale. È soltanto questa intelligenza, io credo, che può risolvere i nostri immensi problemi. Ciò non può costituire un risultato; nasce soltanto quando comprendiamo questo intero, totale processo del pensiero, non soltanto a livello conscio, ma anche ai livelli della coscienza più profondi e più nascosti. Per comprendere problemi di tale fatta è necessario possedere una mente estremamente pacificata, una mente del tutto serena, tale da poter guardare al problema senza interporre idee o teorie, senza la minima distrazione. È questa una tra le nostre difficoltà: poiché il pensiero è divenuto una distrazione. Quando intendo comprendere, osservare veramente qualcosa, non dovrò pensare ad essa: dovrò guardarla. Nel momento in cui comincio a pensare, ad avere idee ed opinioni intorno ad essa, mi trovo già in una condizione di distrazione, mi trovo già a guardare al di là della cosa che devo comprendere. Così il pensiero, quando si ha un problema, diventa una distrazione - intendendosi per pensiero un'idea, un'opinione, un giudizio, un confronto - che ci impedisce di guardare e pertanto di comprendere e risolvere il problema. Sventuratamente per la maggior parte di noi il pensiero ha acquistato un'importanza enorme. Voi dite: "come potrei esistere, essere, senza pensare? Come potrei avere una mente vuota?». Avere una mente vuota significa stare in una condizione di stupore, di idiozia, comunque la si chiami e la vostra reazione istintiva è di respingerla. Ma senza dubbio una mente che sia in perfetta calma, una mente che non sia distratta dal proprio stesso pensiero, una mente che sia aperta, può guardare al problema in modo veramente semplice e diretto. E questa capacità di guardare senza alcuna distrazione i nostri problemi, è l'unica soluzione. A questo fine occorre una mente calma, tranquilla.
Una tale mente non è un risultato, non è un prodotto fine a se stesso derivante da una pratica, dalla meditazione, dal controllo. Essa non nasce attraverso alcuna forma di disciplina o di costrizione o di sublimazione, nasce senza alcuno sforzo del "me", del pensiero; nasce quando comprendo l'intero processo del pensare - quando posso vedere un fatto senza la minima distrazione. In tale condizione di tranquillità, propria di una mente che è realmente calma, vi è amore. E soltanto l'amore può risolvere tutti i nostri problemi umani.

Testo tratto dal libro " La prima ed ultima libertà".

Copywrite:
1954 Krishnamurti Writings, inc., Ojai , U.S.A.
1969 Casa Editrice Astrolabio - Ubaldini Editore, Roma.

CHI PENSA E IL PENSIERO - La prima ed ultima libertà - Jiddù Krishnamurti


In tutte le nostre esperienze, vi è sempre chi sperimenta, chi osserva, chi si raccoglie sempre più in se stesso o chi nega se stesso. Non è questo un processo errato, non è forse un intento che non conduce a uno stato creativo? Se è un processo errato, è possibile eliminarlo completamente, rimuoverlo? Potrà accadere soltanto quando non sperimenterò al modo in cui sperimenta chi pensa, ma sarò cosciente della falsità del processo e mi renderò conto del fatto che vi è un'unico stato nel quale chi pensa coincide col pensare. Finché sperimenterò, finché sarò In divenire, necessariamente si avrà quest'azione dualistica; dovrà esservi il pensatore ed il pensiero, due separati processi all'opera contemporaneamente; non vi sarà integrazione, ma un centro che opererà mediante la volontà d'azione per essere o non essere: collettivamente, individualmente, nazionalmente e così via. A scala universale, il processo è questo. Finché uno sforzo si ripartisce tra lo sperimentatore e l'esperienza, un deterioramento è inevitabile. L'integrazione è possibile soltanto quando chi pensa non è più chi osserva. Vale a dire, ora sappiamo che esistono il pensatore ed il pensiero, l'osservatore e la cosa osservata, lo sperimentatore e l'esperienza; esistono due stati diversi. Miriamo a stabilire un ponte tra l'uno e l'altro. La volontà di agire è sempre dualistica. È possibile andare al di là di essa, che è fatta per separare, e scoprire uno stato nel quale quell'azione dualistica non abbia luogo? Lo potremo scoprire soltanto quando sperimenteremo direttamente una condizione nella quale il pensatore sia il pensiero stesso. Attualmente riteniamo che il pensiero sia diverso da chi pensa: ma è proprio così? Ci piace presumere che sia così, poiché in tal caso chi pensa può sviscerare i vari argomenti mediante il proprio pensiero. Sforzo di chi pensa è crescere o diminuire; e pertanto, in questa lotta, in quest'azione e della volontà, nel "diventare", vi è sempre un fattore di deterioramento; stiamo perseguendo un processo falso, non un processo vero. Vi è distinzione tra chi pensa ed il pensiero? Finché saranno separati, divisi, il nostro sforzo andrà perduto; stiamo perseguendo un processo falso, distruttivo, nel quale appunto consiste il fattore di deterioramento. Riteniamo che chi pensa sia qualcosa di separato rispetto al suo pensiero. Quando scopro di essere avido, possessivo, brutale, penso che non dovrei essere tutto ciò. Allora chi pensa cerca di alterare i propri pensieri, e pertanto fa uno sforzo per "diventare"; in tale processo forzoso persegue la falsa illusione che esistano due processi separati, mentre non ve n'è che uno. Credo che qui stia il fattore fondamentale di deterioramento. È possibile sperimentare la condizione nella quale vi è un'unica entità, e non due processi separati, lo sperimentatore e l'esperienza? Se è possibile, forse troveremo che cosa sia essere creativi, e quale sia la condizione in cui non possa darsi mai alcun deterioramento, qualunque sia la relazione in cui l'uomo si possa trovare. Sono avido. Io e l'avidità non costituiamo due stati diversi; vi è un unico stato, ed è l'avidità. Se sono consapevole di essere avido, che cosa accade? Mi sforzo di non esserlo, per ragioni sia sociologiche che religiose; tale sforzo si svilupperà sempre entro un piccolo, limitato cerchio; potrò estenderlo, tale cerchio, ma resterà pur sempre limitato. Perciò, ecco il fattore di deterioramento. Ma quando osservo la questione più da vicino e più in profondo, vedo che chi compie lo sforzo è la causa dell'avidità, che egli è l'avidità stessa; e vedo pure che non vi sono un "io" e l'avidità, esistenti separatamente; ma unicamente l'avidità. Se mi rendo conto di essere avido, del fatto che non vi è un osservatore avido, ma che io stesso sono l'avidità, allora tutto il problema è interamente diverso; e la nostra risposta sarà interamente diversa; allora, il nostro sforzo non sarà distruttivo. Che cosa farete quando tutto il vostro essere sia avidità, quando, qualsiasi azione facciate, sia avidità? Sventuratamente, non pensiamo mai secondo questa linea. Vi è 1'"io", l'entità superiore, il gendarme che controlla, domina. Secondo me tale procèsso è distruttivo. È un'illusione, e sappiamo perché la nutriamo. Mi ripartisco in uno strato elevato ed uno basso, per poter continuare. Se invece vi è soltanto, completamente, l'avidità, e non un "io" che agisce avidamente, se sono io stesso, interamente, avidità, in tal caso che cosa accadrà? Senza dubbio, vi è un processo diverso che contemporaneamente opera, vi è un problema diverso che nasce. Ed è questo problema, che è creativo: un problema nel quale non vi è alcun senso di un "io" che domina, che diviene, positivamente o negativamente. Dobbiamo attingere questo stato, se vogliamo essere creativi. In tale condizione, non vi è chi compia uno sforzo. Non è questione di esprimere parole, o di cercar di scoprire quale sia quella condizione: se ponete il problema in questi termini, la perderete e non la troverete mai. Ciò che importa è vedere che chi compie lo sforzo e l'oggetto per il quale egli lo compie, sono un'unica cosa. Vedere il modo in cui la mente si ripartisce in uno strato elevato ed uno basso - dove lo strato elevato è la sicurezza, l'entità eterna - pur rimanendo un processo di pensiero e pertanto di tempo, esige una penetrazione ed una vigilanza enormi. Se potremo comprenderlo come esperienza diretta, vedremo che un fattore del tutto diverso entrerà in gioco.

Testo tratto dal libro " La prima ed ultima libertà".

Copywrite:
1954 Krishnamurti Writings, inc., Ojai , U.S.A.
1969 Casa Editrice Astrolabio - Ubaldini Editore, Roma.

sabato 3 dicembre 2011

IL BUSINESS DELLE ARMI....ITALIANE !!!

Questa è la lista, aggiornata all'8 Marzo 2002, di chi costruisce armi in Italia;
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ITALIA...grande ESPORTATRICE di MORTE:

L’Italia nel 2009 è stata, per il quinto anno consecutivo, il primo paese al mondo per esportazioni di “armi da fuoco” (firearms) di tipo non militare: con quasi 250 milioni di dollari di esportazioni ha preceduto Brasile (186 milioni), Germania (127 milioni) e Stati Uniti (114 milioni).
Lo si evince dall’analisi dei dati forniti dal registro dell’Onu sul commercio internazionale (UN Comtrade). Il principale destinatario delle esportazioni italiane sono stati gli Stati Uniti (oltre 104 milioni di dollari), seguiti da Francia (oltre 23 milioni) e Federazione Russa (20 milioni). Vengono quindi Regno Unito, Germania, Spagna e Grecia e poi si trova la prima sorpresa: la Libia, con oltre 6 milioni di dollari e 3.706 armi. Al quattordicesimo e quindicesimo posto compaiono altri due paesi mediorientali: la Giordania (oltre 2 milioni di dollari) e l’Egitto, per 2 milioni di dollari più, secondo l’Istat, 6 milioni di euro di “armi e munizioni”. L’annunciata riforma della legge 185/90 prevede di escludere la regolamentazione dell’esportazione di queste armi. Rinunciare in partenza a migliorare la normativa sulle esportazioni di armi “non ad uso militare” fa sorgere il dubbio che la riforma della legge, più che un necessario aggiornamento legislativo alla luce delle “mutate esigenze della difesa e della sicurezza” internazionale, intenda essere una malcelata risposta alle pressioni delle lobby armiere nazionali.



Le Banche Italiane e le Armi:

BNL e gruppo BNP Paribas
La Banca Nazionale del Lavoro (BNL) fu trasformata nel 1992 in società per azioni e nel
febbraio del 2006 è stata incorporata nel gruppo bancario francese BNP Paribas: il gruppo dispone
di una delle più ampie reti bancarie internazionali con una presenza in oltre 85 paesi del mondo. Le operazioni autorizzate alla BNL per l’esportazione di armamenti italiani nel periodo dal 2000 al 2009 ammontano a oltre 2 miliardi di euro, pari al 12,9% del totale, che fanno della BNL la banca che ha assunto la quota maggiore di operazioni nel settore nell’ultimo decennio.
Anche il BNP Paribas mostra un’operatività nel settore in costante e forte crescita: dai 306mila euro del 2002 si passa agli oltre 804 milioni del 2009 autorizzati, specifica la Relazione ministeriale, a “BNP Paribas Succursale Italia”.  La BNL dal 2003 ha reso pubblica “la decisione di ridurre progressivamente il proprio coinvolgimento nelle attività finanziarie legate al commercio di armamenti” impegnandosi a “limitare le proprie attività relative alle operazioni di esportazione e importazione di materiale d’armamento unicamente a quelle verso Paesi UE e NATO nell’ambito delle rispettive politiche di difesa e sicurezza”. Tale promessa non appare però rispettata, soprattutto a seguito dell’assunzione nel 2008 dell’ordinativo della Turchia all’Agusta per l’acquisto di 53 elicotteri A129 International (tipo Mangusta) del valore di oltre 1 miliardo di euro: una commessa che ha sollevato forti critiche da parte delle associazioni della società civile anche per il protrarsi di un conflitto di “bassa intensità” nel Kurdistan iracheno. Appaiono inoltre consistenti le operazioni riguardanti paesi non appartenenti all’UE e alla NATO soprattutto di BNP Paribas. Per una piena trasparenza del proprio operato, la BNL dovrebbe rendere pubbliche almeno le informazioni fino qualche anno fa accessibili attraverso la Relazione ministeriale e, cioè, il valore di ogni singola autorizzazione e il paese contraente. Solo in questo modo, renderebbe possibile un effettivo riscontro delle affermazioni sostenute nel proprio “Codice Etico”. Tale richiesta andrebbe estesa all’intero gruppo BNP Paribas o, per lo meno, alla Succursale italiana del gruppo. In definitiva, a fronte di una pur apprezzabile dichiarazione di autolimitazione delle operazioni nel settore, la mancanza di trasparenza e la non esplicitazione delle politiche intraprese in Italia dall’intero gruppo bancario in merito alle operazioni per l’esportazione di armamenti rendono oggi il gruppo BNP Paribas uno dei più esposti a sostenere il commercio internazionale di armamenti.


UniCredit Group
UniCredit Group è il risultato dalla fusione dei gruppi Credito Italiano e Unicredito e delle successive aggregazioni con il gruppo tedesco HVB e, nel 2007, con Capitalia (Banca di Roma,
Banco di Sicilia e Bipop Carire). Nel 2006 Banca di Roma affermava che dal 2004 aveva
emanato una direttiva interna che limitava l'operazioni di esportazioni ai sistemi d’armamento
“non offensivi” e restringeva i paesi destinatari “all’area dell’Unione Europea, agli 11 paesi Ocse extra Ue e a due altri paesi NATO”. Nel “Bilancio Sociale Ambientale 2001” Unicredito Italiano aveva annunciato il proprio “disimpegno” dal settore degli armamenti e nello stesso anno la banca estendeva anche alle consociate estere l’impegno a “eliminare nel corso del tempo l’attività creditizia nei confronti di soggetti direttamente o indirettamente coinvolti nel commercio delle armi”. Nel “Bilancio di Sostenibilità 2007” UniCredit Group, annunciava invece una nuova “Politica di finanziamento del settore difesa” nella quale affermava il rifiuto di intrattenere rapporti con aziende produttrici o utilizzatrici di armi controverse bandite dai trattati internazionali e l’impegno a valutare i destinatari finali in base a garanzie credibili sull’utilizzo degli armamenti “per fini di difesa o motivi di sicurezza”. Nei successivi bilanci sociali UniCredit afferma di aver avviato “una fase di revisione e rafforzamento” delle proprie politiche in tema di difesa e armamenti e nel 2009 che il “Comitato rischi del Gruppo ha formalmente approvato la policy modificata in tema di energia nucleare e quella relativa all’industria della Difesa/Armamenti, distribuendole alle società del Gruppo per l’adozione formale”. “Provvederemo – aggiunge la nota – a comunicare i contenuti principali di tali politiche, pubblicandole sul nostro sito web nel corso del 2010”: al novembre
scorso, però, tale policy non è stata resa nota. In sintesi, UniCredit ha modificato nel corso degli anni la propria policy iniziale reintroducendo la possibilità di finanziare determinati settori dell’industria militare e non escludendo la fornitura di servizi bancari alle esportazioni di armamenti. Pur a fronte di un evidente e apprezzabile intento di autolimitare la propria operatività nel settore dell’industria militare, resta comunque il fatto che UniCredit Group per rendere attendibili le proprie recenti dichiarazioni deve pubblicare la nuova policy e un rigoroso
e dettagliato reporting delle proprie operazioni nel settore.


Il gruppo Intesa Sanpaolo
Nato dalla fusione tra Banca Intesa e Sanpaolo IMI, il gruppo Intesa Sanpaolo è attivo dal 2 gennaio 2007. Al gruppo appartengono oggi una ventina di banche storiche italiane, alcune delle quali acquisite dopo la fusione come nel caso della Cassa di Risparmio della Spezia (Carispe),
incorporata nel luglio del 2007. Nel marzo del 2004, Banca Intesa annunciava la decisione di “sospendere la partecipazione a operazioni finanziarie che riguardano l’esportazione, l’importazione e transito di armi e di sistemi di arma, pur consentite dalla legge 185/90”. SanPaolo IMI nel settembre del 2002 rendeva operativo un “codice interno di autodisciplina”
inteso a limitare le attività “solo ad operazioni rivolte a finalità di difesa e di tutela della sicurezza” e, per quanto riguarda il finanziamento di forniture di materiale militare prodotto da imprese estere alle sole operazioni “destinate a Paesi appartenenti all’Unione Europea e/o alla Nato e comunque destinate, per loro natura, unicamente a finalità di sicurezza”. Tale direttiva veniva sostanzialmente mantenuta anche negli anni successivi fino alla fusione con Banca Intesa e portava la banca a veder crescere il volume delle proprie operazioni, soprattutto quelle relative ai paesi dell’Unione Europea
e della Nato. Nel luglio 2007 il gruppo Intesa Sanpaolo esplicitava la nuova “Policy settore armamenti” che assumeva sostanzialmente le linee già definite da Banca Intesa.
“Tale posizione – spiega il testo – è tesa ad aderire completamente allo spirito dei principi della Costituzione Italiana, che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, e a “dare una risposta significativa a una richiesta espressa da ampi e diversificati settori dell’opinione pubblica che fanno riferimento a istanze etiche”. Nel “Bilancio Sociale” degli ultimi anni la banca riporta alcune chiare tabelle dei valori degli importi autorizzatialle due principali banche del gruppo.
Il “Bilancio Sociale 2008” oltre a informare sugli importi autorizzati al Gruppo per operazioni relative all’esportazione di armamenti – specificando anche i valori relativi alla Carispe verso la quale la policy non era ancora pienamente entrata in vigore – riporta anche quelli relativi ai “Programmi intergovernativi” per il quinquennio 2004-2008. In definitiva, il gruppo Intesa
Sanpaolo con la propria policy – decisa e resa nota con tempestività – ha assunto una decisione di sicura rilevanza etico-sociale, ambiziosa e impegnativa, sulla quale deve mantenere un vigile monitoraggio e informare sulle singole operazioni autorizzate in via d’eccezione
o ancora in corso da parte di tutte le banche del gruppo in Italia e all’estero.


UBI Banca
Il Gruppo cooperativo UBI Banca (Unione di Banche Italiane) è nato il 1 aprile 2007 dalla fusione
di BPU (Banche Popolari Unite) e Banca Lombarda e Piemontese. La nascita del nuovo gruppo portava UBI Banca nel dicembre del 2007 a definire una nuova “Politica del settore Armamenti” che veniva stabilita “in considerazione delle diverse posizioni dei due Gruppi di origine”: mentre il gruppo BPU aveva infatti sostenuto una politica di disimpegno dal commercio delle armi, Banca Lombarda non aveva mai dichiarato alcuna restrizione in materia. Tale politica è stata presentata inizialmente in un documento titolato “Linee Guida” che ha esplicitato un duplice orientamento: “da una parte contribuire al mantenimento di forze militari in grado di assicurare la pace e la sicurezza
dei Paesi democratici, dall’altra assicurarsi di non contribuire all’attività di regimi che violano o comunque non dimostrano adeguato rispetto per i fondamentali diritti umani”. Nel luglio del 2009 Ubi Banca emanava quindi la “Policy gestione operazioni con controparti attive nei settori delle armi e dei materiali di armamento”. Il documento afferma che “non vi è una preclusione assoluta alla fornitura di servizi finanziari nei confronti di imprese che operano nei settori dei materiali di armamento”, ma limita l’operatività delle banche del gruppo “alle sole imprese clienti che siano residenti in paesi appartenenti all’Unione Europea, alla Nato o all’Ocse” e a specifiche “tipologie di armi e materiali di armamento”. La direttiva intende evitare in ogni caso il coinvolgimento in operazioni dirette verso Paesi che “siano soggetti a sanzioni internazionali di embargo; siano parti
attive in conflitti armati in qualità di aggressori; attuino o tollerino sistematiche o gravi violazioni dei diritti umani; presentino un basso indice di sviluppo umano e livelli di spesa militare e sociale incompatibili con una prospettiva di sviluppo sostenibile”. La policy inoltre prevedeuna serie di impegni nella trasparenza da attuarsi fornendo al pubblico informazioni attraverso il sito internet e il bilancio sociale del Gruppo. Proprio la non “preclusione assoluta” alla fornitura di servizi alle imprese che operano nel settore dei materiali di armamento e l’accentuato impegno a “contemperare le esigenze di assicurare il necessario supporto alle economie locali dei nostri territori” ha portato alcune banche del Gruppo ad una rilevante e, per taluni istituti, nuova operatività nel settore del commercio degli armamenti. Come si nota chiaramente dalla Tabella 1, l’ammontare delle operazioni assunte dalle banche del gruppo nell’ultimo biennio – cioè, sostanzialmente sulla base della nuova policy del Gruppo – supera i 1,4 miliardi di euro che fanno oggi di UBI Banca l’istituto di credito italiano maggiormente attivo nel commercio di armamenti. Il Gruppo UBI Banca si è distinto per la pronta attenzione al tema, per la tempestiva elaborazione della policy – avvenuta anche recependo molte indicazioni delle associazioni della società civile – e soprattutto per l’applicazione delle direttiva anche ai sistemi d’arma non regolamentati dalla legge
185/90 (le cosiddette “armi leggere”). Resta però da valutare il recente chiaro incremento delle operazioni nel settore che appare poco congruente – se non contrastante – rispetto alla tradizionale presenza delle banche del gruppo nel settore delle piccole e medie imprese e al carattere “essenzialmente domestico” del gruppo stesso.


Il gruppo Montepaschi
La Banca Monte dei Paschi di Siena (MPS) ha acquisito alcune banche storiche italiane tra cui, nelmaggio 2008, la Banca Antoniana Popolare Veneta (Banca Antonveneta). Come si può notare dalla Tabella 1. è soprattutto a seguito dell’acquisizione di Antonveneta che il gruppo Montepaschi figura nell’elenco delle operazioni relative all’esportazione di armamenti italiani: dei poco più di 241 milioni di euro di autorizzazioni nel decennio tra il 2000 e il 2009, quasi 224 milioni (il 93%) risalgono infatti all’operatività di Antonveneta. Già a partire dall’agosto del 2000, infatti, la Direzione Centrale di Montepaschi ha emanato alle filiali “precise istruzioni tendenti a evitare, una volta esauriti i flussi di operazioni già perfezionate in precedenza ed aventi durata pluriennale, operazioni riconducibili alla produzione ed al commercio di armi ai sensi della legge 185/1990”.

Tale decisione è stata motivata dalla banca sulla base della propria “Carta dei valori” e successivamente riconfermata nel “Codice Etico” del gruppo. La direttiva è stata estesa nel 2009 anche all’acquisita Banca Antonveneta che ha assunto operazioni per meno di 9 milioni di euro, in netto calo rispetto agli anni precedenti. Il gruppo Montepaschi si caratterizza quindi per una positiva attenzione alla problematica del commercio di armi che, negli ultimi dieci anni, si è sostanziata nella tempestiva definizione di una policy innovativa e rigorosa, nella sua diligente applicazione e nella trasparente comunicazione al pubblico risultando in un prezioso esempio di coerenza tra impegni dichiarati e prassi realizzata.

Banca Popolare di Milano
La Banca Popolare di Milano (BPM) ha fatto per la prima volta la sua comparsa nella Relazione governativa per operazioni autorizzate nel 2004 relative alle esportazioni di armamenti italiani, per un valore di oltre 53 milioni di euro. Il fatto ha suscitato una forte presa di posizione di Banca Etica con la quale Bpm ha rapporti di collaborazione partecipando al fondo Etica Sgr. A seguito di diversi incontri tra rappresentati di Banca Etica e di Bpm, alcuni dei quali con la partecipazione di rappresentanti di associazioni e ong clienti di Bpm, il 6 febbraio 2007, il presidente della Banca Popolare di Milano, Roberto Mazzotta, in una lettera indirizzata al president della Banca Etica, Fabio Salviato confermava la precisa intenzione di proseguire nell’uscita dalle attività riguardanti l’appoggio alle aziende del settore armiero e di voler portare a conclusione anche le specifiche attività di “appoggio alle operazioni di pagamento” alle ditte da parte dei paesi acquirenti di sistemi di armamenti italiani, condividendo così “pienamente il principio etico dello sviluppo fondato sulla pace e sulla solidarietà tra i popoli”. Una decisione che Banca Popolare di Milano sostanzialmente onorava negli anni successivi portando comunque a compimento le operazioni pregresse.

Mi sono permesso di fare un collage, con le parti che ho ritenuto più opportune, dell'articolo DossierMO2011gennaio.pdf che ho trovato QUI (solo il testo in corsivo fa parte dell'articolo in questione).
Se siete interessati a leggere il documento di legge riguardante la regolamentazione del "traffico" di armamenti, eccolo qua: legge185_90.pdf
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Leggi anche i post:

-Basi e installazioni militari USA in Italia!!!

-Sulla Guerra - Jiddù Krishnamurti - La prima ed ultima verità - Domanda: com'è possibile risolvere l'attuale caos politico e la crisi mondiale ???  Vi è qualcosa che l'individuo possa fare per impedire la guerra incombente???

martedì 29 novembre 2011

Sul significato della vita - La prima ed ultima libertà - Jiddù Krishnamurti.

Domanda: viviamo, ma non sappiamo perché. Per tanti di noi, sembra che la vita non abbia alcun significato. Ci può dire il significato e lo scopo del vivere?

Krishnamurti: ma perché mi pone questa domanda? Perché mi chiede di dirle il significato della vita, il fine della vita? Che cosa intendiamo per vita? La vita ha un significato, un fine? Il vivere in se stesso non è il proprio stesso fine, il proprio stesso significato? Perché siamo troppo insoddisfatti della nostra vita, perché la nostra vita è troppo vuota, volgare, monotona, perché continuiamo a fare la stessa cosa, per questo vogliamo qualcosa di più, qualcosa che vada oltre quanto stiamo facendo. Essendo tanto vuota, sorda, priva di significato, fastidiosa, intollerabilmente stupida la nostra vita quotidiana, affermiamo che la vita debba avere un significato maggiore, ed ecco perché Lei mi pone questa domanda. Senza dubbio, chi ha una vita ricca, chi vede le cose quali sono ed è appagato di ciò che ha, non è confuso; ha la mente chiara, e pertanto non domanda quale sia lo scopo della vita. Per lui, lo stesso vivere è inizio e fine. La nostra difficoltà è che, essendo la nostra vita tanto vuota, intendiamo trovarle uno scopo e ci battiamo per esso. Un tale scopo della vita può essere puramente intellettuale, senza la minima realtà; quando lo scopo della vita viene perseguito da una mente stupida e sorda, da un cuore vuoto, anche tale fine sarà vuoto. Perciò il nostro scopo è come render ricca la nostra vita, non di denaro e di tutto il resto, ma ricca interiormente: il che non è niente di tanto misterioso. Quando dite che scopo della vita è la felicità, oppure trovare dio, senza dubbio tale desiderio di trovare dio è un’evasione rispetto alla vita, e il vostro dio è semplicemente qualcosa che conoscete. Si può dirigere la propria via soltanto verso un oggetto noto; se si costruisce una scala fino alla cosa che chiamate dio, senza dubbio quello non è dio. La realtà può comprendersi soltanto vivendola, non evadendone. Quando si cerca nella vita uno scopo, in realtà si sta evadendo, e non si comprende che cos’è la vita. La vita è relazione, è azione nella relazione; quando non comprendo la relazione, o quando questa è confusa, cerco un significato più ampio. Perché le nostre vite sono tanto vuote? Perché siamo tanto soli, frustrati? Perché non abbiamo mai guardato entro noi stessi, né compreso noi stessi. Non ammetteremo mai di fronte a noi stessi che questa vita è tutto ciò che conosciamo e che per tanto andrebbe compresa pienamente e completamente. Preferiamo sfuggire a noi stessi, ed ecco perché cerchiamo uno scopo alla vita, distinto dalla relazione. Se cominciamo a comprendere l’azione, cioè la nostra relazione con la gente, col possesso, con le fedi e le idee, troveremo che la relazione ha in se stessa il suo premio. Non dobbiamo cercare. È come cercare l’amore. Cercandolo si può trovare forse l’amore? L’amore non si può coltivare. Troverete l’amore soltanto nella relazione, e non al di fuori, ed è perché non abbiamo amore che cerchiamo uno scopo alla vita. Quando vi è amore, che è la propria stessa eternità, allora non vi è ricerca di dio, poiché l’amore è dio. È perché le nostre menti sono gremite di tecnicismi e di mormorii superstiziosi che le nostre vite sono tanto vuote, ed ecco perché cerchiamo uno scopo al di là di noi stessi. Per trovare lo scopo della vita dobbiamo passare attraverso la porta di noi stessi; consciamente o inconsciamente evitiamo di guardare in faccia le cose quali sono in se stesse, e così esigiamo che dio ci apra una porta, al di là. Questa domanda circa lo scopo della vita viene posta soltanto da chi non ama. L’amore può trovarsi soltanto nell’azione, che è relazione. 

Testo tratto dal libro " La prima ed ultima libertà".

Copywrite:
1954 Krishnamurti Writings, inc., Ojai , U.S.A.
1969 Casa Editrice Astrolabio - Ubaldini Editore, Roma.

giovedì 24 novembre 2011

Relazione e isolamento - Jiddù Krishnamurti - La prima ed ultima libertà

"AVVISO PER I LETTORI": gli articoli rigurdanti J. Krishnamurti verranno raccolti nella pagina secondaria "Jiddù Krishnamutri" creata appositamente...buona lettura!!!

La vita è esperienza, esperienza di relazione.
Non si può vivere isolati; così la vita è relazione, e la relazione è azione.
E come si può possedere quella capacità di intendere la relazione, nella quale consiste la vita?
Relazione non significa, forse, oltre che comunione con la gente, anche intimità con le cose, e le idee? 
La vita è relazione, il che si esprime mediante il contatto con le cose, le persone e le idee. Comprendendo la relazione troveremo la capacità di affrontare pienamente, adeguatamente la vita.
Pertanto il nostro problema non è la capacità – poiché la capacità non è dipendente dalla relazione – ma piuttosto l’intendimento della relazione stessa, che naturalmente produrrà la capacità di corrispondervi, adeguarvisi, rispondervi prontamente.
Senza dubbio la relazione è lo specchio nel quale si scopre se stessi.
Senza relazione non si è; essere equivale ad essere in rapporto; essere in rapporto è esistere.
Si esiste soltanto in relazione: altrimenti non si esiste, l’esistenza non ha significato.
Non è perché pensate di essere che giungete ad esistere.
Esistete perché siete in relazione; ed è la mancanza di relazione che provoca conflitto.
Ora, non si comprende la relazione, perché la si impiega semplicemente come un mezzo per perseguire le nostre conquiste, le nostre trasformazioni, il nostro divenire.
Ma la relazione è un mezzo di autoscoperta, poiché la relazione equivale ad essere; essa è l’esistenza. Senza relazione, io non sono.
Per comprendermi, devo comprendere la relazione. La relazione è uno specchio nel quale posso vedere me stesso.
Tale specchio può essere distorto, oppure può essere “com’è”, riflettendo ciò che è.
Ma la maggior parte di noi nella relazione, in quello specchio, vedono solo ciò che preferirebbero vedere; non vedono ciò che è. Preferiamo idealizzare, evadere, vivere nel futuro piuttosto che comprendere quella relazione nel presente immediato.
Ora, se esaminiamo la nostra vita, il nostro rapporto con gli altri, vedremo che si tratta di un processo di isolamento.
In realtà non ci occupiamo l’uno dell’altro; e sebbene se ne parli moltissimo, in realtà non siamo interessati agli altri.
Restiamo in rapporto con gli altri finché tale rapporto ci offre un vantaggio, un rifugio, finché insomma offre soddisfazione. Ma nel momento in cui vi è disturbo nel rapporto, tale da produrre in noi disagio, scartiamo quel rapporto.
In altri termini, vi è rapporto soltanto finché se ne trae qualche remunerazione.
Ciò può sembrare sgradevole, ma se esaminerete la vostra vita da vicino, vedrete che è un fatto; ed evadere a un fatto significa vivere nell’ignoranza, attraverso la quale non si porrà mai alcun vero rapporto.
Se guardiamo entro le nostre vite e consideriamo la relazione, vediamo che si tratta di un processo fatto per costruire una resistenza contro gli altri, di un muro al di sopra del quale osserviamo e guardiamo gli altri.
Ma quel muro lo manteniamo sempre, e restiamo dietro di esso, si tratti di un muro psicologico, di un muro materiale, di un muro economico o di un muro nazionale.
Finché vivremo nell’isolamento, al di là di un muro, non vi sarà rapporto con gli altri; e vivremo rinchiusi, perché ciò è assai più soddisfacente, perché riteniamo che sia di gran lunga più sicuro.
Il mondo ci spezza a tal punto, vi è tanta angoscia, tanto dolore, guerra, distruzione, miseria, che desideriamo evadere, e trincerarci all’interno dei muri di sicurezza della nostra personale psicologia.
Così la relazione per la maggior parte di noi è in realtà un processo di isolamento, e ovviamente tale relazione costruisce una società pur essa isolante.
È esattamente quanto accade in tutto il mondo: si resta in isolamento e si tende la mano di là dal muro, chiamandolo nazionalismo, fraternità o ciò che volete, mentre in concreto i governi sovrani, e gli eserciti, continuano.
Seguitando ad aggrapparsi alle proprie limitazioni, si pensa di poter creare l’unità mondiale, la pace mondiale: il ché è impossibile. Finché vi sarà una frontiera, sia essa nazionale, economica, religiosa, o sociale, è ovvio che non potrà esservi pace nel mondo.
Il processo dell’isolamento fa parte del processo del perseguimento del potere; lo si persegua individualmente o in nome di un gruppo razziale o nazionale, l’isolamento è inevitabile, perché il desiderio stesso di potere, il desiderio di acquisire posizioni, è separatismo.
Dopo tutto è ciò che ciascuno di noi vuole, non è così ? 
Ciascuno vuole una posizione di potenza dalla quale dominare, sia in casa propria, sia in ufficio, sia in un regime burocratico. Tutti cercano il potere, e cercandolo fondano una società che si basa sul potere, militare, industriale, economico e così via:  il che è, pur esso, ovvio.
Non è forse isolante, per sua stessa natura, il desiderio di potere?
A me pare di estrema importanza intendere questo punto, poiché chi miri alla pace del mondo, chi persegua un mondo nel quale non vi siano guerre, non vi sia spaventosa distruzione, non vi sia più miseria catastrofica a scala incommensurabile, deve comprendere questo problema fondamentale: non sembra anche a voi ?
Chi prova affetto e gentilezza non ha alcun senso di potere; e pertanto un uomo di questo tipo non è legato ad alcun nazionalismo, a nessuna bandiera. Non ha bandiere. La vita in isolamento non esiste: non vi è un paese, non vi è popolo, non vi è individuo che possa vivere isolato; eppure, poiché si cerca il potere in tanti modi diversi, si alimenta l’isolamento.
Il nazionalista è una vera maledizione perché, proprio a causa del suo spirito nazionalistico e patriottico, crea un muro di isolamento. Si identifica a tal punto con il proprio paese, da costruire un muro contro un altro paese.
Che cosa accade quando si costruisce un muro contro qualche cosa ?  Accade che quella cosa batte continuamente al vostro muro.
Quando si resiste a qualcosa, la stessa resistenza dimostra che ci si trova in conflitto con l’altro. Perciò il nazionalismo, che è un processo di isolamento, derivante dal perseguimento del potere non potrà portare al mondo la pace.
Chi sia nazionalista e parli di fraternità mente; vive in contraddizione.
Si può vivere al mondo senza desiderare il potere, senza voler attingere una posizione di autorità ?
Senza dubbio, si può. E lo si fa quando non ci si identifica con qualche cosa di più grande. Quest’identificazione con qualcosa di più grande di noi – un partito, un paese, una razza, una religione, Dio – è perseguimento del potere. Poiché, se in voi stessi sarete vuoti, sordi, deboli, vi piacerà identificarvi con qualcosa di più grande di voi; e tale desiderio di identificazione equivale al desiderio di potere.
La relazione è un processo di auto-rivelazione, e, se non si conosce se stessi, i modi del proprio cuore e della propria mente, avrà ben poco significato la fondazione di un ordine esteriore, di un sistema, di una forma intelligente.
Ciò che importa è comprendere se stessi in relazione con gli altri.
Allora la relazione diventa non un processo di isolamento, ma un movimento nel quale si scoprono i propri stessi motivi, i propri pensieri, le proprie tendenze; e questa scoperta in se stessa è l’inizio della liberazione, l’inizio della trasformazione.

Testo tratto dal libro " La prima ed ultima libertà"

Copywrite
1954 Krishnamurti Writings, inc., Ojai , U.S.A.
1969 Casa Editrice Astrolabio - Ubaldini Editore, Roma

sabato 19 novembre 2011

Tempo - Sofferenza - Morte. "Sul vivere e sul morire - Jiddù Krishnamurti"

Saanen, 28 Luglio 1964

Vorrei parlarvi di qualcosa che comprende la totalità della vita, qualcosa che non è frammentario ma che abbraccia invece l'intera esistenza dell'uomo. Se vogliamo penetrare tale argomento con una certa profondità penso che dobbiamo smettere di farci intrappolare da teorie, credi e dogmi. Quasi tutti noi ariamo senza sosta il terreno della mente, ma sembra che non riusciamo mai a seminarlo. Analizziamo, discutiamo, facciamo in quattro ogni capello, ma non comprendiamo l'intero movimento della vita. Penso allora che ci siano tre cose che dobbiamo comprendere fino in fondo, se vogliamo cogliere tutto intero il movimento della vita. Si tratta del tempo, della sofferenza e della morte. Per comprendere il tempo, per abbracciare il pieno senso della sofferenza e stare in compagnia della morte abbiamo bisogno della chiarezza dell'amore. L'amore non è una teoria, ne un' ideale. O ami o non ami. Non può essere insegnato. Non si possono prendere lezioni di amore, ne esiste un metodo la cui pratica quotidiana ci conduca a sapere cos'è l'amore. Penso piuttosto che si possa arrivare all'amore in modo naturale, semplice e spontaneo, nel momento in cui si comprende davvero il senso del tempo, la straordinaria profondità della sofferenza e la purezza che viene con la morte. Forse dovremmo considerare, in modo effettivo, aldilà delle teorie o delle astrazioni, la natura del tempo, la qualità, ovvero la struttura della sofferenza e quella cosa straordinaria che chiamiamo morte. Queste tre cose non sono separate. Se comprendiamo il tempo, comprendiamo cos'è la morte e comprenderemo anche che cosa è la sofferenza. Se però consideriamo il tempo come qualcosa di distinto dalla sofferenza e dalla morte, e cerchiamo di trattarlo separatamente, il nostro approccio sarà frammentario, e quindi non abbracceremo mai la straordinaria bellezza e la vitalità dell'amore. Tratteremo del tempo non come un'astrazione ma come una realtà, del tempo come durata, come continuità dell' esistenza. C'è il tempo cronologico, fatto di ore e giorni che si estendono per milioni di anni, ed è proprio il tempo cronologico che ha prodotto quella mente con la quale operiamo. La mente è un prodotto del tempo in quanto continuità dell'esistenza, e il perfezionamento e l'affinamento della mente attraverso tale continuità viene chiamato progresso. Il tempo è anche quella durata psicologica che il pensiero ha creato per farne uno strumento di conquista. Usiamo il tempo per progredire, per conquistare, per divenire, per ottenere un certo risultato. Per la maggior parte di noi, il tempo è un trampolino di lancio verso qualcosa di assai più grande: per lo sviluppo di determinate facoltà, per il perfezionamento di una certa tecnica, per l'ottenimento di un fine, di una meta, più o meno encomiabile. In tal modo siamo giunti a pensare che il tempo sia indispensabile per comprendere cosa sia vero, cosa sia dio, casa ci sia dietro tutto il travaglio dell' uomo. Generalmente consideriamo il tempo come il periodo che intercorre tra il momento presente e un determinato momento nel futuro, e usiamo quel periodo per migliorare il carattere, per liberarci di una certa abitudine, per sviluppare un muscolo o un modo di pensare. Per due migliaia di anni la mente dei cristiani è stata condizionata a credere in un "salvatore", nell'inferno e nel paradiso; in oriente la mente ha subito un condizionamento del genere per un periodo assai più lungo. Pensiamo che il tempo sia indispensabile per ogni cosa che dobbiamo fare o capire. Quindi il tempo è diventato un peso, un' ostacolo all'effettiva percezione dei fenomeni; ci impedisce di percepire immediatamente la verità di qualcosa perchè pensiamo di doverle dedicare un po' di tempo. Diciamo: "domani, o tra un paio d' anni comprenderò questa cosa con chiarezza straordinaria". Nel momento in cui ammettiamo il tempo stiamo sviluppando l'indolenza, quella particolare forma di pigrizia che ci impedisce di percepire subito le cose per ciò che realmente sono. Pensiamo di aver bisogno di tempo per far breccia nel condizionamento imposto alla nostra mente dalla società con le religioni organizzate, i codici etici, i dogmi, l'arroganza e lo spirito competitivo. Pensiamo in termini di tempo perchè il pensiero è fatto di tempo. Il pensiero è la risposta della memoria, intendendo per memoria quel bagaglio che è stato accumulato, ereditato ed acquisito sia individualmente sia attraverso la propria razza, la comunità, il gruppo e la famiglia. Tale bagaglio è il risultato del processo cumulativo della mente, e la sua accumulazione ha richiesto tempo. Per molti di noi la mente è memoria, e ogni qual volta c'è una sfida, un quesito, è la memoria che risponde. E' simile a la risposta di un cervello elettronico, che funziona attraverso le associazioni. Poichè il pensiero è una reazione della memoria è per sua stessa natura creatura e creatore del tempo. Non dovete considerare ciò che vi dico come una teoria: non si tratta di qualcosa su cui dovete ragionare. Non dovete pensarci su ma piuttosto percepirlo, vedere perchè le cose stanno in tal modo. Non ho intenzione di penetrare tutti i dettagli più intricati, mi basta aver indicato gli elementi essenziali: o li vedete o non li vedete. Se avete seguito tutto ciò che è stato detto, non solo verbalmente, linguisticamente o analiticamente, se lo avete davvero visto così com'è, potrete comprendere in che modo il tempo rappresenti un' inganno. La domanda successiva è se il tempo si può fermare. Se siamo capaci di percepire l'intero processo del nostro stesso agire, con la sua profondità e la sua futilità, la sua bellezza e la sua bruttezza, non domani, ma immediatamente, ecco che questa stessa percezione diventa un'atto che distrugge il tempo. Se non comprendiamo il tempo non possiamo comprendere la sofferenza. Vorremmo farle apparire come due cose diverse, ma non lo sono affatto. Andare in ufficio, restare con la propria famiglia e avere figli non sono eventi accidentali, isolati. Al contrario sono tutti profondamente e intimamente collegati uno all'altro; senza la sensibilità che ci è donata dall'amore non possiamo percepire la straordinaria intimità di tali correlazioni. Per comprendere la sofferenza dobbiamo penetrare realmente nella natura del tempo e nella struttura del pensiero. Il tempo deve fermarsi, in caso contrario non faremo altro che ripetere le informazioni che abbiamo accumulato, proprio come un cervello elettronico. Finchè il tempo non si ferma, e cioè finchè il pensiero non cessa, c'è solo mera ripetizione, regolazione, una modificazione continua. Non c'è mai qualcosa di nuovo. Siamo gloriosi cervelli elettronici, forse un po' più indipendenti, ma ancora simili alle macchine nel nostro modo di funzionare. Per comprendere la natura della sofferenza e la fine della sofferenza è necessario comprendere il tempo, e comprendere il tempo equivale a comprendere il pensiero. Non si tratta di due fenomeni distinti. Nel comprendere il tempo ci si imbatte nel pensiero, e la comprensione del pensiero è la cessazione del tempo, e quindi della sofferenza. Se ciò ci è ben chiaro, possiamo osservare la sofferenza senza venerarla come fanno i cristiani. Di solito ciò che non capiamo o lo adoriamo o lo distruggiamo. Lo collochiamo in una chiesa, in un tempio, o ancora in un remoto angolo della nostra mente, e ne abbiamo soggezione, oppure lo calpestiamo e lo gettiamo via, magari lo sfuggiamo. Ma qui non facciamo nessuna di queste cose. Ci limitiamo a riconoscere che per millenni l'uomo ha lottato con il problema della sofferenza, senza essere mai stato in grado di risolverlo, e così si è assuefatto a esso, lo ha accettato, considerandolo un fattore inevitabile della vita. Non fare altro che accettare la sofferenza non soltanto è stupido ma ottunde la mente. La mente diventa insensibile, brutale, superficiale, e di conseguenza la vita diventa assai meschina, un semplice susseguirsi di lavoro e piacere. Si vive un' esistenza frammentaria, nei panni di un uomo d'affari, uno scienziato, un' artista, un sentimentalista, una cosiddetta persona religiosa, e via dicendo. Invece per capire, ed essere liberi dalla sofferenza, bisogna comprendere il tempo e in tal modo comprendere il pensiero. Non possiamo negare la sofferenza, ne scappare, sfuggirla nei passatempi, nelle chiese, nei credi organizzati; e non possiamo neppure accettarla e venerarla; e per non fare una qualsiasi di queste cose ci vuole una notevole attenzione, ovvero energia. La sofferenza è radicata nell'autocommiserazione, quindi per comprendere la sofferenza per prima cosa è necessario troncare decisamente ogni forma di autocommiserazione. Non so se vi siete mai resi conto di quanto vi sentite addolorati per voi stessi quando pensate: "sono solo", tanto per fare un'esempio. Nel momento in cui vi lasciate andare all'autocommiserazione avete creato il terreno in cui mette le radici la sofferenza. Per quanto vi sforziate di giustificare la vostra commiserazione, di razionalizzarla, d'ingentilirla e di mascherarla con i concetti, è sempre là, e vi corrompe fino al midollo. Quindi chiunque desideri comprendere la sofferenza deve iniziare liberandosi di quella trivialità brutale, egocentrica ed egoista che prende il nome di autocommiserazione. Potremo auto commiserarci perchè siamo ammalati, o perchè la morte ci ha portato via una persona cara, oppure perchè non ci siamo realizzati e quindi ci sentiamo frustratri, incupiti; quale che sia la causa, l'autocommiserazione è la radice della sofferenza. Una volta liberati dall' autocommiserazione, possiamo confrontarci con la sofferenza senza venerarla, senza sfuggirla, ne doverle attribuire un significato sublime e spirituale, sostenendo per esempio che dobbiamo soffrire per trovare dio, il che è un completo controsenso. Solo una mente ottusa e stupida si adatta pazientemente alla sofferenza. Quindi nei confronti della sofferenza non dev' esserci alcun genere di accettazione, ma neppure una negazione. Se abbiamo abbandonato l'autocommiserazione, abbiamo privato la sofferenza di ogni sentimentalismo, di ogni forma di emotività che scaturisce dall'autocommiserazione. A quel punto possiamo osservare la sofferenza con la massima attenzione. Spero che non vi limitiate ad accettare verbalmente ciò che è stato detto, ma che lo sperimentiate con me man mano che andiamo avanti. Cercate di essere consapevoli del vostro modo di accettare ottusamente la sofferenza, del vostro modo di razionalizzarlo; rammentate le vostre scuse, l'autocommiserazione, il sentimentalismo, l'atteggiamento emotivo nei confronti della sofferenza, perchè tutto ciò non è altro che spreco di energia. Per comprendere le sofferenza dovete concederle tutta la vostra attenzione, e in quell'attenzione non c'è posto per le scuse, per il sentimento, per la razionalizzazione, non c'è posto per alcun genere di auto commiserazione. Credo di aver detto chiaramente che occorre dedicare tutta la nostra attenzione alla sofferenza. In tale attenzione non c'è uno sforzo per risolvere o comprendere la sofferenza. Ci si limita a guardare, a osservare. Qualsiasi sforzo di capire, razionalizzare o sfuggire alla sofferenza impedisce quello stato negativo di completa attenzione nell'ambito del quale il fenomeno che chiamiamo sofferenza può essere compreso. Non stiamo analizzando la sofferenza tramite tale investigazione analitica al fine di liberarcene, perchè questo è soltanto un' altro giochetto della mente. La mente analizza la sofferenza e quindi immagina di aver capito e di essersene liberata, il che è assurdo. Forse è possibile che ci liberiamo di un certo tipo di sofferenza, ma in definitiva la sofferenza riemergerà nuovamente in qualche altra forma. Stiamo considerando la sofferenza nel suo complesso, la sofferenza in quanto tale, che sia la vostra, la mia o quella di qualsiasi altro essere umano. Se vogliamo comprendere la sofferenza dobbiamo comprendere sia il tempo sia il pensiero. Dev' esserci un' assoluta consapevolezza di ogni via di fuga, di ogni forma di auto commiserazione, di ogni verbalizzazione, così che la mente possa raggiungere una condizione di quiete assoluta al cospetto di qualcosa che deve essere compreso. A quel punto non c'è più separazione tra l'osservatore e l'oggetto osservato. Non c'è più un io, l'osservatore, il pensatore, che è in una condizione di sofferenza e sta osservando proprio quella sofferenza, c'è soltanto lo stato di sofferenza. Questa condizione di sofferenza indivisa è qualcosa di indispensabile, perchè se ci confrontiamo con la sofferenza in qualità di osservatori creiamo un conflitto, che annebbia la mente e disperde energia, e quindi non c'è più attenzione. Quando la mente comprende la natura del tempo e del pensiero, quando l'autocommiserazione, il sentimento, l'emotività e tutto il resto sono stati sradicati, ecco che cessa ciò che ha creato tutta questa complessità, il pensiero, e non c'è più tempo; a quel punto siamo direttamente e intimamente in contatto con quella cosa che chiamiamo sofferenza. La sofferenza sussiste solo finchè c'è una fuga dalla sofferenza, un desiderio di allontanarsi da essa, di scioglierla oppure di venerarla. Tuttavia, quando non c'è nulla di tutto ciò perchè la mente è in contatto diretto con la sofferenza, e quindi si mantiene completamente silenziosa nei suoi confronti, finiamo per scoprire che la mente non sta affatto soffrendo. Allorchè la nostra mente è in completo contatto con la realtà della sofferenza, quella realtà stessa dissolve tutti quegli elementi del tempo e del pensiero che producono sofferenza. Giungiamo perciò alla cessazione della sofferenza. Ora, come possiamo capire quel fenomeno che chiamiamo morte, e che ci incute tanto timore? L'umo ha ideato molti percorsi tortuosi per occuparsi della morte, venerandola, negandola, afferrandosi a un'infinità di credi e così via. Tuttavia per comprendere la morte è senz' altro necessario ricominciare da capo, perchè in realtà non sappiamo nulla della morte, non vi pare? Forse abbiamo visto morire molte persone, e abbiamo osservato in noi stessi e in altri il sopraggiungere della vecchiaia con il deterioramento che la accompagna, sappiamo che la vita fisica può terminare a causa dell'invecchiamento, di un' incidente, una malattia, un' omicidio o un suicidio, tutta via non conosciamo la morte nello stesso modo in cui conosciamo il sesso, la fame, la credeltà, la brutalità. Non sappiamo cosa significhi realmente morire, e se non giungiamo a tale conoscenza la morte non ha alcun senso. Ciò di cui abbiamo paura è un' astrazione, qualcosa che non conosciamo. Non conosciamo la pienezza della morte, ne quali siano le sue implicazioni, e quindi la mente è spaventata, è spaventata dall'idea della morte, non dalla sua realtà, che non conosce. Cerchiamo di approfondire un po' questo punto. Se dovessimo morire all'istante, non avremmo tempo di pensare alla morte e di esserne spaventati. Tuttavia c'è un' intervallo tra il presente e il momento in cui sopraggiungerà la nostra morte, e durante quell'intervallo c'è tempo in abbondanza per preoccuparci e razionalizzare. Vorremmo poter trasportare sino alla prossima vita, ammesso che ce ne sia una, tutte le ansie, i desideri e la conoscenza che abbiamo accumulato, e quindi inventiamo teorie in proposito, oppure crediamo il qualche forma di immortalità. Per noi la morte è qualcosa di separato dalla vita. La morte è laggiù, mentre noi siamo qui, indaffarati a vivere, guidando un' auto, facendo l'amore, sperimentando la fame e le preoccupazioni, andando in ufficio, accumulando conoscenze, eccetera. Non vogliamo morire perchè non abbiamo ancora finito di scrivere il nostro libro, oppure perchè non sappiamo ancora suonare il violino con sufficente maestri. Così separiamo la morte dalla vita e diciamo: "ora capirò la vita e tra un po' anche la morte". Però le due cose non sono separate. E' questa la prima cosa da capire. La vita e la morte sono un' unica cosa, sono intimamente correlate, e non è possibile isolare una delle due e cercare di comprenderla separatamente dall' altra. Tuttavia questo è l' atteggiamento della moggior parte della gente. Separiamo la vita in compartimenti stagni indipendenti l' uno dall' altro. Se siamo economisti, l' economia è l' unica cosa di cui ci preoccupiamo, e del resto non sappiamo proprio nulla. Se siamo specializzati in otorinolaringoiatria, oppure in cardiologia, ci muoviamo in quel campo di conoscenza limitato per quarant' anni, ed è quello il nostro paradiso nel momento in cui muoriamo. Trattare la vita in modo frammentario vuol dire vivere in costante confusione, contraddizione e infelicità. Dobbiamo percepire la totalità della vita, e possiamo farlo solo se c'è calore, se c'è amore. L'amore è l' unica rivoluzione che potra produrre l' ordine. Non è una buona cosa accumulare una conoscenza sempre più vasta in matematica, medicina, storia, economia, e poi amalgamare tutti i frammenti: non ci servirà a niente. Senza amore, la rivoluzione conduce soltanto alla venerazione dello stato, o all' adorazione di un' immagine, o ancora a innumerevoli corruzioni tiranniche e alla distruzione dell' uomo. Allo stesso modo, quando la mente, spinta dalla paura, cerca di allontanare da se l'idea della morte e la separa dalla vita quotidiana, tale separazione non fa altro che generare olteriore paura e ansia, nonchè una proliferazione di teorie sulla morte. Per comprendere la morte dobbiamo comprendere la vita. Tuttavia la vita non è la continuità del pensiero, anzi è questa stessa continuità che nutre ogni nostra infelicità.
E allora, può la mente trasportare se stessa dal remoto all' immediato? Mi seguite? In realtà, la morte non è qualcosa di lontano, è qui e ora. E' proprio qui, mentre stiamo parlando, mentre ci stiamo divertendo, mentre ascoltiamo, mentre andiamo in ufficio. E' qui in ogni istante della vita, proprio come l' amore. Se appena riusciamo a percepire tale realtà, scopriamo che non c'è più nessuna paura della morte. Ciò di cui abbiamo paura non è il non conosciuto ma il perdere il cunosciuto. Abbiamo paura di perdere la nostra famiglia, di restare soli, senza compagnia; abbiamo paura del dolore della solitudine, di restare senza le esperienze e le cose che abbiamo accumulato. E' dal conusciuto che abbiamo paura di separarci. Il conosciuto è ricordare, ed è a tale ricordo che si afferra la mente. Tuttavia la memoria è soltanto un processo meccanico, casa che i computer stanno dimostrando in modo eccellente. Per comprendere la bellezza e la natura straordinaria della morte, dev' esserci libertà dal conosciuto. E' proprio nel morire al conosciuto che iniziamo a comprendere la morte, perchè in tal modo la mente viene rinvigorita e rinnovata, e no c'è paura. Quindi penetrare nella condizione che chiamiamo morte è possibile. Di conseguenza, dall' inizio alla fine, la vita e la morte sono un' unica cosa. L'umo saggio comprende il tempo, il pensiero e la sofferenza, e solo lui può capire la morte. La mente che muore ogni istante, senza mai accumulare, senza mai raccogliere le esperienze, è innocente, e quindi è continuamente il uno stato di amore.

Testo tratto dal libro "Sul vivere e sul morire" di Jiddù Krishnamurti; (pag. 9);

Copywrite 1992 Krishnamurti Foundation Trusth Limited and Krishnamurti Foundation of America
Copywrite Casa Editrice Astrolabio - Ubaldini Editore, Roma

25 Aprile 2020 ore 17:00 Riprendiamoci la nostra libertà!

Con questo grido invitiamo tutti coloro che vogliono essere LIBERI! Liberi di andare dove gli pare come da costituzione, che non vogliono ...